Doveva essere discussa dal Senato per essere approvata in modo definitivo e invece è rimasta arenata e chissà se vedrà mai la luce. Di certo incontra enormi resistenze politiche e culturali, mentre potrebbe cambiare l'Italia delle mafie e della corruzione

Ci sono voluti anni di discussioni e scontri politici, ma a gennaio sembrava quasi fatta: con l'approvazione da parte della Camera dei deputati della proposta di legge sul whistleblowing, la battaglia dava i primi frutti. Sette mesi dopo, però, è tutto fermo: la proposta, approdata al Senato, lì è rimasta, senza neppure essere stata inserita nel calendario dei lavori per la discussione e l'approvazione finale, né è chiaro, a questo punto, che fine farà.

A denunciare la paralisi è la deputata del Movimento Cinque Stelle che tanto si è battuta per questa legge: Francesca Businarolo. «Da gennaio non è stato fatto nulla», racconta a l'Espresso, sottolineando come sia necessario che, «appena riprenderanno i lavori parlamentari, a settembre, questa proposta di legge venga approvata. Io sono d'accordo che in alcuni passaggi vada migliorata, ma ogni tentativo di cambiamento deve essere compatibile con un'approvazione celere: sono anni che parliamo di questo provvedimento». 

Businarolo non è la sola a criticare le sabbie mobili in cui la sua proposta è finita: in queste ultime settimane, Transparency International Italia, costola italiana dell'Ong Transparency International impegnata nella lotta alla corruzione, e la comunità digitale “Riparte il futuro” stanno cercando di far pressione sulle istituzioni e sull'opinione pubblica con una campagna di raccolta firme per chiedere che il Senato discuta al più presto la proposta di legge Businarolo e per migliorare alcuni aspetti del provvedimento.

«Il 20 luglio, appena lanciata, la nostra campagna ha raccolto 15mila adesioni in meno di una settimana», ci spiega Priscilla Robledo di Riparte il Futuro, raccontando di aver inviato il testo della petizione a ciascun membro della commissione Affari Costituzionali del Senato che dovrebbe calendarizzare la proposta, senza però ricevere alcun riscontro. Davide Del Monte, direttore di Transparency International Italia, è altrettanto critico: «Fino ad ora, abbiamo ottenuto solo piccoli e timidi risultati, mentre la corruzione al contrario sembra essere sempre più diffusa». 

Perseguitati, rovinati economicamente, imprigionati o costretti all'esilio, i whistleblower subiscono devastanti rappresaglie in tutto il mondo. Whistleblower è chiunque lavorando all'interno di un'azienda o di un'istituzione e scoprendo che questa fa qualcosa di illegale o comunque di profondamente contrario alle regole, lo denuncia nel pubblico interesse, pur sapendo che andrà incontro a una ritorsione.

Il termine include di tutto: dall'impiegato del piccolo municipio che assiste a piccole e grandi corruzioni all'infermiere o al medico che scopre gravi illeciti nel suo ospedale, dal bancario di provincia che conosce le storie di usura ed evasione fiscale dietro ai movimenti di denaro del suo istituto, fino all'analista dell'intelligence Usa, Chelsea Manning, che ha passato a WikiLeaks centinaia di migliaia di documenti segreti sul vero volto delle guerre in Afghanistan e in Iraq, o al contractor Edward Snowden, che ha rivelato i piani di sorveglianza di massa della più potente agenzia d'intelligence del mondo: l'americana Nsa.

Fin dal 2010 i paesi del G20, di cui l'Italia è parte, si erano impegnati ad approvare leggi a tutela dei whistleblower, ma nel 2014 l'organizzazione australiana"Blueprint for Free Speech” ha pubblicato uno studio scientifico indipendente, finanziato dalle università di Melbourne e Griffith in Australia e da “Transparency International-Australia”, per verificare di quali tutele godessero i whistleblower nei venti paesi membri, a quattro anni da quel primo impegno: il risultato era a dir poco deludente. Con l'eccezione degli Stati Uniti, dove invece la protezione di chi denuncia nel pubblico interesse è una conquista consolidata, grazie a una serie di strumenti legislativi, come il “Whistleblower Protection Act” del 1989. 

Secondo i dati riportati dallo studio australiano, da gennaio 2009 a settembre 2014, il governo americano ha recuperato cifre da capogiro grazie alle denunce dei whistleblower che hanno rivelato frodi e corruzioni: 22,75 miliardi di dollari e una parte di questi denari sono andati proprio a beneficio di chi ha avuto il coraggio di denunciare, perché esistono leggi che consentono di premiare chi lo fa. Recentemente, il dipartimento della Giustizia americano ha reso noto che, nell'anno fiscale 2014, sono stati recuperati 3 miliardi di dollari, di cui 435 milioni sono andati proprio ai whistleblower.

Ma è importante non lasciarsi abbagliare da queste cifreperché anche negli Stati Uniti non sono tutte rose e fiori. Quando i whistleblower arrivano a denunciare i massimi sistemi del Potere, come il complesso militare-industriale, non c'è protezione legale che regga: Chelsea Manning è finita in una prigione militare, condannata a 35 anni in base a una legge del 1917, l'Espionage Act, pensata per i traditori della Prima guerra mondiale che passavano segreti al nemico, e poco importa che il processo davanti alla corte marziale abbia stabilito oltre ogni ragionevole dubbio che Manning non ha mai passato, men che mai venduto, segreti al nemico. Manning ha rivelato a WikiLeaks documenti classificati per denunciare gravissimi abusi dei diritti umani e quei file non sono finiti inabissati nel mondo oscuro delle spie: sono stati pubblicati dall'organizzazione di Julian Assange in collaborazione con i giornali di tutto il mondo, tra cui “l'Espresso” per l'Italia.

Se negli Usa la situazione dei whistleblower è buona, ma presenta anche gravi criticità, nel nostro Paese, purtroppo, siamo all'anno zero. E pensare che una legge che protegga chi denuncia nel pubblico interesse sarebbe vitale per una nazione in cui l'omertà dilaga ed è terreno fertile per corruzioni e mafie di ogni tipo. Il problema è, prima di tutto, culturale: la nostra società, pur tanto influenzata dalle scelte di coscienza che predica il cattolicesimo, non ha prodotto il concetto di “whistleblower”, tanto è vero che in italiano non esiste manco una parola che traduca in modo adeguato il termine inglese e così in Italia i whistleblower finiscono erroneamente chiamati “talpe” o “informatori”, due appellativi dalla connotazione spionistica-criminale o anche poliziesca, che non colgono la scelta di integrità dietro il gesto di chi denuncia per il bene di tutti, pur rischiando moltissimo a livello personale.

Non sorprende, dunque, l'opposizione che incontra la proposta di legge Businarolo. «C'è una grande resistenza culturale verso questa legge», ci conferma la deputata Cinque Stelle, precisando che «c'è tanta ignoranza sul tema e un retaggio culturale che considera il whistleblowing come delazione: è un'ignoranza che ovviamente fa il gioco dello status quo, perché non serve una laurea per capire che, se si vuole abbattere la corruzione e l'illegalità, in Italia serve una legge che protegga chi denuncia nel pubblico interesse».

La proposta passata alla Camera a gennaio ha tante luci, ma anche qualche ombra, che l'Espresso ha prontamente analizzato in occasione dell'approvazione: sette mesi dopo, luci e ombre sono ancora lì, perché il testo arenato al Senato è rimasto tale e quale, non essendo mai partita la discussione.

La campagna di Transparency International Italia e di Riparte il Futuro punta a superare alcune di quelle limitazioni, garantendo, per esempio, la possibilità per il whistleblower di denunciare in modo anonimo, estendendo del tutto le protezioni ai dipendenti delle aziende private, innalzando le sanzioni per i datori di lavoro che licenzino o che facciano ritorsioni, e istituendo un fondo di garanzia, perché le spese legali e i problemi professionali e familiari in cui incorrono i whistleblower hanno rovinato troppi di loro, come l'ampia casistica internazionale può dimostrare. Ma, soprattutto, l'iniziativa di Transparency e di Riparte il Futuro mira a fare pressione sulle istituzioni affinché la proposta di legge uscita dalla Camera venga finalmente discussa dal Senato.

Ma perché è bloccata? A spiegarlo a L'Espresso è la professoressa Nicoletta Parisi, componente del Consiglio dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), guidata da Raffaele Cantone, che ha un ruolo fondamentale in questa partita, in quanto l'Anac è l'organo a cui il whisteblower può rivolgersi per denunciare ed è anche l'autorità che lo protegge in caso di ritorsioni. «La proposta di legge», ci dice la professoressa Parisi,«è ferma perché ci sono priorità legislative valutate dal Senato, che sono la legge sull'editoria e quella sul lobbying, e quindi, il Senato, che ha incardinato nelle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia il progetto di legge sul whistleblowing, non l'ha ancora calendarizzato. Ad oggi non sono in grado di fare previsioni sulla tempistica proprio a causa di queste due priorità che già ad aprile la presidentessa della commissione Affari Costituzionali, la senatrice Anna Finocchiaro, mi spiegò».

Dunque il Senato ha altre priorità e a questo punto chissà a quando sarà rimandata la discussione e l'approvazione. Nicoletta Parisi ci spiega che, nel frattempo, la senatrice Maria Mussini, ex Movimento Cinque Stelle, che oggi aderisce al gruppo Misto, ha depositato un altro progetto di legge, oltre a quello Businarolo, già approvato dalla Camera. «Anche la “proposta Mussini” non è stata ancora calendarizzata», racconta, «ma quando ci sono due progetti di legge sul medesimo argomento, la camera di competenza li unifica, quindi è possibile che il primo passaggio dopo la calendarizzazione sarà l'unificazione, questo se il Senato considererà opportuno modificare il contenuto del “testo Businarolo”». Parisi spiega che entrambe le proposte prevedono l'allargamento al settore privato della tutela dei whistleblower e «ci sono resistenze molto forti contro questo obbligo da certe parti del Parlamento», racconta.

Sulle richieste di modifica, invocate anche dalla campagna di Transparency e Riparte il Futuro, la professoressa Parisi fa notare che «il meglio è nemico del bene: potrebbero essere necessarie misure progressive per introdurre un istituto come il whistleblowing, che è estraneo alla nostra cultura» e ragiona che da una parte c'è chi vorrebbe fin dall'inizio una legge perfetta, dall'altra c'è chi invece opta per un avvicinamento a passi felpati, «la proposta di legge Businarolo rappresenta quest'ultima scelta», spiega, «bisogna però tener conto di una cosa: questo istituto rischia di morire prima di nascere, perché se il dipendente, pubblico o privato che sia, non si fida di segnalare, oppure se le prime persone che segnalano situazioni “pesanti” scoprono che la loro scelta è solo foriera di un licenziamento, è chiaro che nessuno segnalerà più nulla. Certo, occorre una legge forte, però la legge forte non serve a niente se rimane solo sulla carta. Allora forse è meglio una soluzione non perfetta, che inizi a far entrare nell'ordinamento e nella società italiana la cultura del whistleblowing, e poi sperare che in un futuro più vicino possibile si possano introdurre norme per affinare l'istituto». 

Insomma la strada è ancora molto lunga e tanto incerta. Chissà se una vera legge vedrà mai la luce, anche se sull'appoggio di Raffaele Cantone i fautori del whistleblowing non sembrano dubitare. «Ha dichiarato più volte che serve tutelare chi denuncia corruzioni e illegalità», ci dice Francesca Businarolo, «e detto da lui ha un peso notevole».