In Ucraina il nodo cruciale per i rapporti con l'Occidente?: il Cremlino sostiene di aver sventato la penetrazione di sabotatori nel territorio che si è annesso. Scontri a fuoco e vittime sul confine virtuale. Il presidente russo minaccia ritorsioni. Poroshenko propone una conferenza

"E' un gioco pericoloso", dice Vladimir Putin: "non lasceremo correre, non abbiate dubbi". Viene in mente il "make no mistake" pronunciato da George W. Bush l'11 settembre 2001 dopo l'attacco all'America.  Meno di un mese dopo, truppe statunitensi e britanniche invasero l'Afghanistan.

Le parole usate dal presidente russo per accusare l'Ucraina di terrorismo dopo una presunta e comunque sventata azione di sabotatori in Crimea suonano come tamburi di guerra. Anche perché da almeno un paio di mesi sul fronte del Donbass miliziani filo-russi e esercito ucraìno hanno ripreso a spararsi addosso, alla faccia del cessate il fuoco proclamato nel febbraio di un anno fa. I caduti  sui due schieramenti aumentano ogni giorno. Tra i civili, le vittime sono state 76 solo nel mese di luglio, secondo dati dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. L'Europa ha fatto finta di non accorgersene. Il richiamo alla realtà adesso è brusco.

Putin ha detto chiaramente che della mediazione europea ormai può farne a meno, e ha cancellato l'incontro a quattro (Russia, Ucraina, Germania e Francia) previsto durante la riunione del G20 nella prima settimana di settembre in Cina.

Una minaccia e un monito
Quello rivolto da Putin al nemico e collega Petro Poroshenko non è un avvertimento, è proprio una minaccia. Ma certamente il leader del Cremlino non pensava solo al presidente ucraìno, parlando come ha parlato. Il suo è da considerarsi anche un monito - che non è né una minaccia né un avvertimento, ma un richiamo alle proprie responsabilità - indirizzato all'Occidente, che ritiene schierato con Kiev a scapito della sicurezza delle frontiere della Federazione Russa. Nei paesi confinanti, la Russia non vuole dispositivi militari di alleanze di cui non faccia parte. L'istintivo e tradizionale senso di insicurezza che fu dell'impero degli zar e poi di quello sovietico continua ad agire. L'Unione europea, la Nato e gli Stati Uniti continuano a  non capire quanto sia profondo e radicato nella memoria storica dei russi.

La minaccia e il monito vengono da un personaggio che ha costantemente dimostrato - nel suo ultimo mandato presidenziale - di voler vivere pericolosamente, in politica estera. Crimea a parte , basti pensare all'aggressività dimostrata con successo in Siria e all'inusitato tandem a tre con Ankara e Teheran lanciato sulla sabbiosa tôle ondulée  delle crisi e dei conflitti mediorientali (se starà in piedi o meno, è ancora da vedere). C'è da prenderlo sul serio, Putin. Anche perché questa volta i fatti che lo hanno così profondamente irritato pare si siano davvero verificati. La stessa propaganda governativa russa sembra esser stata colta in contropiede.  

 Fantasia e realtà
"Le accuse di Mosca sono fantasie, un pretesto per far aumentare la pressione dell'apparato militare che ha schierato contro di noi. Terroristi sono i russi", ha subito replicato Poroshenko. E ha messo in stato di massima allerta tutte le unità delle sue forze armate, ha anche lanciato un ballon d'essai diplomatico - proponendo una conferenza telefonica a cui invita i capi di stato e di governo di Francia e Germania, il vicepresidente Usa, il presidente del Consiglio europeo e lo stesso  leader russo.  

I nodi da sciogliere sono molti e intricati. Riguardano l'Ucraina ma investono i rapporti tra Russia e Europa, e il ruolo della Russia nella comunità internazionale. Il modo in cui verrà affrontato l'approfondirsi della crisi tra Mosca e Kiev è la chiave che può aprire a una distensione o a un inasprimento nelle relazioni tra il grande stato euroasiatico e l'Occidente.

"Sono rimasto colpito dall'irritazione e dalla sicurezza di Putin", commenta per l'Espresso una persona vicina al Mid, il ministero degli esteri russo, chiedendo di restare anonima. "Il rischio di una escalation è reale, la crisi con l'Ucraina non può rimanere irrisolta ancora a lungo". "L'Europa non ha voluto o potuto fare sufficiente pressione sul governo ucraino per l'attuazione degli accordi di Minsk", dice Alexey Chesnakov, direttore del Center for Current Policy (Ccp), un istituto di studi politici che fin dal primo mandato di Putin, nell'anno 2000, collabora strettamente con la presidenza della Federazione Russa.

Come da copione
"Alla Russia basterebbe che quanto deciso a Minsk fosse attuato. In particolare, l'Ucraina deve riconoscere uno statuto speciale e precise garanzie nelle aree russofone dell'est del paese: noi non vogliamo altro". Quanto detto all'Espresso da Chesnakov ha anticipato di poche ore, parola per parola, quanto poi dichiarato da Vitaly Churkin, rappresentante russo al Consiglio di sicurezza dell'Onu riunito d'urgenza su richiesta del governo di Kiev. Forse chi dice la politica estera di Mosca ormai non la fa più il Mid ma la fanno gli advisor del presidente ha qualche ragione. Il  Consiglio ha riaffermato l'integrità territoriale e l'indipendenza dell' Ucraina, Crimea  compresa. La riunione non ha alcun effetto pratico: la Russia - col suo diritto di veto - ovviamente ha votato contro la risoluzione.  

Gli accordi di Minsk, grazie alla mediazione di Germania e Francia portarono nel febbraio di un anno fa a un cessate il fuoco - raramente osservato - tra esercito ucraino e milizie filo-russe nell'Ucraina orientale. Il problema principale è che il compromesso faticosamente raggiunto era quanto meno anfibio su un punto fondamentale: come si devono fare le elezioni nelle regioni pro-russia a statuto speciale? Le organizzerà Kiev o Donetsk? Con che sistema elettorale? E sotto il controllo di chi? L'articolo 12 del trattato Minsk II rinvia tutto a future discussioni. La storia si ripete: le convenzioni tra Russia e Occidente hanno sempre almeno un articolo foriero d'incertezze e reciproca incomprensione.

Sperare in un'applicazione di quanto convenuto a Minsk è "wishful thinking", come dicevano i cremlinologi ai tempi dell'Urss. Non solo per le molte ambiguità ma  anche perché il deterrente per le russe si è parecchio ridimensionato, dal punto di vista di Mosca. "Le sanzioni dell'Unione Europea ormai non influiscono più di tanto sulla politica del nostro governo", spiega Chesnikov. "Se anche venissero ritirate, resterebbero le sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Quelle sì che pesano, perché di fatto ci tagliano fuori la Russia dai mercati dei capitali. Ma per le sanzioni Ue la nostra economia ha trovato risposte non risolutive ma  abbastanza soddisfacenti". Beccati questa, cara vecchia Europa.

Il minor impatto delle sanzioni sembra riflettersi nei dati congiunturali. Il Paese potrebbe presto uscire dalla recessione indotta dal calo dei prezzi petroliferi e da gravi carenze strutturali: il prodotto interno lordo ha dimezzato la contrazione rispetto all'anno scorso, nel secondo trimestre. Il dato è migliore delle previsioni degli economisti sentiti dall'agenzia Bloomberg.  E' probabile che in settembre si possa osserverà finalmente il ritorno a una crescita, seppur lenta.

Maledizione d'agosto
Gli incidenti di frontiera - quasi sempre finti o provocati - spesso precedono le guerre. “Putin  cerca disperatamente un casus belli", scrive su twitter il portavoce del ministero degli esteri di Kiev  Dmytro Kuleba. Secondo l'ambasciatore dell'Ucraina all'Onu Volodymyr Yelchenko, l'attuale situazione in Crimea ricorda  quanto successe prima della breve guerra russo-georgiana del 2008. E non solo perché anche allora era agosto e anche allora un' Olimpiade e una campagna elettorale statunitense contribuivano a distrarre l'attenzione del mondo. "Lo scenario è molto simile", ha detto Yelchenko parlando con i giornalisti. "Ci aspettiamo un'escalation delle provocazioni russe", ha aggiunto.

Il conflitto in Georgia iniziò dopo che gli incidenti sul confine tra i separatisti filo-russi e l'esercito di Tbilisi, che alla fine attaccò per riprendersi l' Ossezia meridionale - di fatto controllata da Mosca. La controffensiva russa travolse i georgiani e si fermò solo alle porte della loro capitale.
La "maledizione d'agosto" ovvero la strana concentrazione di eventi tragici nel mese di metà estate osservata dai russi negli ultimi 25 anni,  potrebbe colpire ancora? Nei caffé di Mosca ci si scherza sopra. Umorismo macabro, se si pensa ai tanti che ci hanno rimesso la pelle, nella serie di attentati terroristici, conflitti e disastri naturali riguardanti la Russia avvenuti in agosto a paritre dal 1991 - quando, in agosto, il Kgb tentò il colpo di stato contro Mikail Gorbachev.

Fatti presunti
A questo punto è utile riassumere i fatti: Putin accusa il governo ucraino di aver tentato di infiltrare agenti in Crimea - territorio che il Cremlino considera parte della Federazione Russa mentre la comunità internazionale condanna come illegale l'annessione - per compiere una serie di attacchi terroristici. Almeno due, le incursioni: una nella notte di sabato 7 agosto e l'altra la notte successiva, nei pressi della città di Armyansk.

Un militare di Mosca e un uomo dell'Fsb, il servizio segreto per l'interno, sono rimasti uccisi - si legge sul sito dello steso servizio, erede del Kgb sovietico. Sequestrati esplosivi, mine e armi in dotazione all'esercito ucraino, afferma il comunicato. La televisione di stato però ha mostrato solo le immagini di uno zainetto pieno di esplosivo e di cavi sparsi al suolo.

Sono state arrestate una decina di persone, di nazionalità russa o ucraina. Tra queste, un ex militare che dice essere stato al servizio dell' intelligence di Kiev: si chiama Evgeny Panov. L'Fsb ha diffuso il video di un suo interrogatorio mascherato da intervista (o viceversa, se volete) in cui confessa di aver avuto dai suoi superiori l'ordine di far saltare alcune infrastrutture in Crimea. "Ho fatto ricognizioni per identificare gli obbiettivi, ho costituito depositi nascosti di armi e esplosivi, mi sono procurate divise militari russe e stavo entrando in azione con i miei compagni quando sono stato catturato", dice Panov nel video propagandistico dell'Fsb.

Secondo il quotidiano governativo Rossiyskaya Gazeta tra gli obbiettivi c'era l'autostrada Simferopol-Yalta , che raggiunge le località balneari del Mar Nero - in questo periodo meta di decine di migliaia di turisti russi. Il governo di Mosca si è affrettato a comunicare che non ci sono pericoli per i cittadini in vacanza in Crimea perché "la sicurezza nella regione non è in alcun modo messa a rischio". Viva l'ottimismo.
    
                                                      
Il ritardo delle spie 
C'è da chiedersi perché l'accusa ufficiale contro Kiev sia arrivata con tre giorni di ritardo. Fin dall'8 di agosto, infatti, se ne parlava su internet. Dove circolava un documento del ministero dell'interno della Crimea che descriveva l'accaduto negli stessi termini in seguito usati dalle autorità moscovite. Il 9 agosto, poi, il popolare blogger pro-Putin Boris Rozhin, alias “Colonnello Cassad” ha fatto circolare notizie ancor più particolareggiate.

Potrebbe essersi trattato di falsi ideati dall'Fsb, certo. Ma se la fuga di notizie e documenti faceva parte di una "deception", come si dice nel gergo delle spie, perché aspettare a pubblicizzare il tutto? Perché aspettare a mandare in onda la triste kermesse del prigioniero Panov? Le menzogne, lo sanno anche le spie, hanno le gambe corte. E' meglio gridarle forte e subito. E' un punto fermo nella tecnica dei "deceptionist" di ogni scuola.

Anche per la tempistica, le accuse contro Kiev al momento sembrano almeno in parte fondate, e l'irritazione di Putin quasi giustificabile. La sua spregiudicatezza e il risentimento nei confronti dell'Occidente - che sembra non volersi accorgere del ritorno della Russia al ruolo di grande potenza, potrebbe preludere al peggio? "Tutto dipende da come risponderà risposta del presidente alla proposta di conference call buttata là da Poroshenko", spiega la già citata persona che conosce dall'interno la politica estera del Cremlino. "Non sarà immediata, la risposta. Putin attenderà l'evolversi della situazione internazionale, cercherà di aver tutte le informazioni possibili sulle posizioni dei leader interessati, poi deciderà. Esattamente come ha fatto per la crisi con la Turchia dopo l'abbattimento del Mig russo".

I rilanci di Putin
Il presidente russo continua ad alzare l'asticella, resta a guardare le reazioni e poi si muove scompigliando alleanze stabilite e situazioni irrisolte che si trascinano stancamente. Difficile dire dove si fermerà. Dipende soprattutto dall'Occidente. Intendiamoci, Putin è un despota ma non è  Hitler. Non si tratta mica di muovergli guerra, e neanche di rifare una conferenza di Monaco. Si tratta di accettare Mosca come un vero partner, accantonando sospetti e incertezze da guerra fredda, isolando gli interessati fautori di alleanze militari sempre più vaste e di una sempre più rapida corsa agli armamenti. E riconoscendo alla Russia nient'altro che il ruolo che le compete. Il mondo sarebbe un posto più sicuro, come si dice. E i russi potrebbero non aver più bisogno di Putin e dei suoi amici. Potrebbero addirittura arrivare ad avere una vera democrazia.