L'assessora uccisa negli anni '80 a Nardò, Lecce, è un esempio di moralità. Si era opposta alla speculazione edilizia di porto Selvaggio. Il suo impegno è stato portato avanti dai tanti sindaci, assessori, consiglieri che non intendono cedere ai ricatti. Per ricordare il valore della sua figura Fondazione con il Sud organizza un incontro con Bindi e don Ciotti

La sua voce è forte. Il tono determinato. Nella nostra epoca in cui la politica e il confronto si trasformano spesso in arene e cori da stadio, gli audio in cui Renata Fonte, vittima della violenza mafiosa nel 1984, parla in consiglio comunale sono da custodire e riascoltare. Qui "l'Espresso" ne ripropone un brano inedito. Messo a disposizione come patrimonio comune.

L'assessora di Nardò era membro del partito Repubblicano. Fu uccisa nel marzo '84. Si opponeva alla speculazione edilizia di un'area naturale di raro splendore. Come dovrebbe fare ogni buon sindaco, assessore, consigliere, cittadino. Per fortuna in tanti hanno scelto di seguire l'esempio di Fonte.

Semmai, però, il dato su cui riflettere è un altro: chi protegge l'impegno di questa politica territoriale sana, che si rimbocca le maniche per fare del proprio territorio un luogo vivibile, civile, non soggetto al potere di pochi criminali? Se Renata Fonte e tanti altri come lei sono stati ammazzatti brutalmente da chi perseguiva interessi privati a scapito di quelli comunitari, avremmo dovuto muoverci nella loro direzione, tendere loro la mano come Stato. Eppure ancora oggi siamo qui a contare le macchine bruciate (l'ultima in ordine di tempo è della giovane assessora ai lavori pubblici del comune di Reggio Calabria), i proiettili arrivati nei municipi, gli agguati contro i dirigenti pubblici con la schiena dritta.

Pochi esempi per dire che, in fondo, anche se contiamo meno morti non lo dobbiamo di certo all'attenzione degli organi politici centrali. Ma alla dirompente forza di questi esempi locali, che spesso frenano persino i mafiosi dallo spingersi oltre. In questi giorni la figura di Renata Fonte sarà al centro di un'iniziativa alla presenza della presidente della commissione antimafia Rosy Bindi e del fondatore di Libera, don Luigi Ciotti.

La manifestazione è organizzata dalla Fondazione con il Sud nell'ambito del progetto itinerante “Un futuro mai visto”. Cinque appuntamenti, l'ultimo sarà a Trieste su Franco Basaglia, per mettere al centro temi come l'istruzione, la condizione giovanile, i beni comuni, il welfare «che la cultura dominante considera importanti ma non centrali per lo sviluppo», spiega Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione, che aggiunge: «Al contrario, devono diventare la priorità. Noi crediamo che uno sviluppo reale può realizzarsi solo partendo dalla coesione sociale».

Per farlo la Fondazione con il Sud e i partner con cui collabora ripartono dalle storie del passato che hanno reso l'Italia un paese migliore. Da Danilo Dolci a don Milani. Passando appunto per Renata Fonte. Il volto pulito della politica negli anni in cui si tramava ancora contro lo Stato e la corruzione aveva raggiunto livelli mostruosi.

Nel marciume generale, qualcuno ha provato a resistere. A disarticolare quelle dinamiche, che oggi con troppa naturalezza definiamo normali e alle quali siamo assuefatti. Fonte, la giovane repubblicana, ha tentato nel suo piccolo di dare l'esempio. È stata uccisa.

Ma in qualche modo a vinto. Ha vinto perché il suo nome è vivo nella memoria delle figlie Viviana e Sabrina, per esempio. Ha vinto perché il suo testimone è stato preso da altri amministratori in giro per il Paese che come lei non cedono a ricatti e mazzette. Renata ha vinto, insomma, nel momento in cui i killer hanno deciso di ucciderla. Un paradosso nella terra che sembra incapace di reagire prima del sangue e delle tragedie.