Di giorno lavorano e di sera si ritrovano nel loro studio alla periferia della Capitale per provare. Hanno firmato la colonna sonora dei film di Savatores e Sollima. «Con la nostra musica volevamo dare equilbrio alla natura crudele e romantica dei protagonisti», rivela il gruppo autore del brano simbolo della serie tv del momento

Pietralata, periferia nord est di Roma. In una sala prove nascosta tra i palazzi un antropologo, un designer, un microfonista e due psicologi si ritrovano nel weekend, quasi sempre di sera, per suonare. Sono i Mokadelic, il gruppo di musica post-rock che ha firmato la colonna sonora della serie tv Gomorra. È qui, lontano dalle vele di Scampia, che le vicende del clan Savastano trovano il pàthos e il giusto ritmo. È qui che i suoni di Gomorra (la seconda stagione andrà in onda da domani su Sky) prendono forma.

«Don Pietro Savastano? Un perfetto jazzista». «Salvatore Conte? Potrebbe suonare il sax con noi», scherzano i Mokadelic. In ogni episodio, la rabbia, la vendetta e i sentimenti che muovono i protagonisti e investono gli spettatori hanno una specifica sfumatura musicale. E sono loro i cinque ragazzi romani con la passione per il cinema, a comporla e ad arrangiarla nel tempo libero. Perché il successo non li ha distolti dai loro lavori, dalla vita di sempre.

«Romani de Roma», già prima di Gomorra, hanno lavorato sin dagli esordi, nel 2000, a stretto contatto con il cinema: film, serie tv, spettacoli e da poco anche live session per il teatro. Un sodalizio «quello fra musica e immagini» che è nel loro dna. E che è stato sperimentato per la prima volta nel 2004, con il cortometraggio “Dove dormono gli aerei”. La svolta è arrivata nel 2008, quando il premio Oscar Gabriele Salvatores li ha chiamati per "Come Dio Comanda": «Gabriele ha dato fiducia a una band emergente - raccontano - all'epoca anche Niccolò Ammaniti, autore del libro su cui si basa il film e nostro fan, spinse affinché fossimo noi a musicare la storia». È l'anno in cui cominciano a fare sul serio: arrivano i grandi studi di registrazione e le collaborazioni importanti: «Nessuno di noi beveva caffè. Poi con la grande mole di lavoro è cambiato tutto. Oggi non possiamo farne a meno», scherza il bassista Cristian Marras spiegando la genesi del nome Mokadelic.

Da Salvatores a Gomorra. In mezzo tanti altri lavori: da Marpiccolo di Alessandro di Robilant, nel 2009, alla collaborazione con Niccolò Fabi. E poi il primo contatto con Stefano Sollima, che nel 2011 gli affidò le musiche di A.C.A.B (All cops are bastards) e nel 2013 li ha ricontattati per la serie. «Ci aveva sentito al Palazzo delle Esposizioni, dove avevamo sonorizzato dal vivo “La fine di San Pietroburgo” di Vsevolod Pudovkin», ricordano. «Voglio qualcosa di simile a quell'atmosfera», disse loro Sollima, regista e showrunner della fiction: era giugno di tre anni fa e le riprese erano cominciate da un paio di mesi. «Abbiamo cominciato a creare. Non conoscevamo la storia. Una, due, tre demo. Alla fine sono venute fuori 50 idee». Poi il lavoro di scrematura, mixaggio per arrivare alle 16 «atmosfere» della prima stagione. Un continuo confronto per «amalgamare» immagini e suoni, creando effetti di contrappunto e sintonia. Un processo che è continuato anche in fase di post produzione, dove hanno fatto squadra con il montatore della serie, Patrizio Marone: «È stato un lavoro certosino, quasi maniacale: è così che è nata la musica apocalittica di Gomorra». Come apocalittica è la storia e il destino dei personaggi. E apocalittica è la periferia di Napoli, con il suo degrado e le sue contraddizioni.

Una sonorità che mescola l'elettronica e strumenti come chitarra, basso e pianoforte per far raggiungere alle scene «un equilibrio tra l'aggressività delle azioni, la cattiveria dei personaggi e la loro natura di eroi romantici: sentimentali e al contempo dannati».


Come dannato e “condannato a vivere” è l'immortale Ciro Di Marzio che da il nome al brano più conosciuto di Gomorra, "Doomed to live". «L'ispirazione per il titolo – spiega Alessio Mecozzi – è la scena in cui Ciro assiste inerme, da lontano, alla polizia scientifica che porta via la bara con dentro Attilio, l'uomo che gli fatto da padre, morto in un conflitto a fuoco con gli scagnozzi di Conte». «Il picco emotivo delle nostra canzone accompagna un suo primo piano: in quel momento Ciro fa i conti con la sua natura criminale, di “immortale” e per paradosso di “condannato”. Quella traccia, ipnotica e dal ritmo cadenzato, è diventata il leit motiv, il simbolo e il tappeto musicale della serie.


Oggi, dopo aver contribuito al successo di Gomorra, i Mokadelic continuano come dieci anni fa a riunirsi nella sala prove di Pietralata, dove stanno registrando l'album in uscita a fine maggio. Per loro tutto è cambiato. Ma non la voglia di sperimentare. «Siamo grati alla serie. Ha dato un'eco internazionale ai nostri brani. Ma per fortuna siamo anche altro». Ognuno, però, ha la sua scena preferita: la morte di donna Imma, la roulette russa di Ciro, Genny a terra, morente, in chiusura della prima stagione. E da spettatori e veri fan faticano a non spoilerare i colpi di scena della nuova serie.



Il prossimo 20 maggio parteciperanno al Vesuvio Soundsystem all'Arenile di Bagnoli insieme ad altri musicisti della serie: da Lucariello a Enzo Dong fino al rapper Clementino. «Di recente siamo stati a Scampia», racconta Alberto Broccatelli, batterista. «Lì, nelle terre di Gomorra, abbiamo avvertito davvero quanto la musica possa avere una valenza sociale. All'interno delle vele i ragazzi hanno costruito sale e studi di registrazione. E, dopo la stagione dei neomelodici, ora sono i rapper il nuovo punto di riferimento per i giovani». Unici artisti non partenopei ad aver musicato l'inferno di Scampia, rifiutano il parallelo tra la Napoli di Gomorra e la Roma di Mafia Capitale: «Sono due tipi di criminalità diversa. Dannose entrambe, ma impossibili da paragonare». In Gomorra ci sono fiumi di cocaina, in Mafia Capitale torrenti di denaro e corruzione. E se gli si chiede l'aggettivo più adatto per definire Mafia Capitale in musica loro tentennano un po' ma poi rispondono: «Barocca».