E' il più famoso giornalista africano, autore di scoop che hanno svelato corruzione, violenze e malaffare in tutto il Continente. E ora la sua storia diventa un film. L'Espresso lo ha intervistato in occasione del Festival internazionale del giornalismo di Perugia

"Se il mio giornalismo funziona? Non sai quanti ne ho mandati in carcere!". Anas Aremeyaw Anas, il più celebre reporter investigativo d'Africa, non si dà arie. Dietro le sbarre sono finiti davvero in tanti.

Narcotrafficanti, ladri di bambini, evasori, sfruttatori o poliziotti corrotti. Qualcuno, più fortunato, è ancora a piede libero. Come i 34 giudici e gli oltre cento funzionari ghanesi ripresi da mini-telecamere mentre intascavano mazzette promettendo sentenze favorevoli. L'inchiesta è stata condotta sotto copertura, con maschere di silicone e decine di volti differenti, stile Diabolik.

Ci sono voluti due anni, 500 ore di girato, nelle aule giudiziarie o nei bar, negli uffici o nelle case dei magistrati corrotti, fingendosi amico o parente dell'imputato di turno. Per svelare e denunciare che la giustizia, la risorsa ultima e più preziosa del cittadino, è nelle mani dei Mercanti del tempio.

La prova? "Ghana in the Eyes of God", il Ghana agli occhi di Dio: "Più che un documentario un tornado" sorride Anas fissandoti prima di indossare la maschera di fili di stoffa e perline che in pubblico gli copre sempre il volto e lo protegge da cento vendette.

Per la presentazione, a settembre, l'Accra International Conference Centre era stracolmo. Settemila biglietti venduti ma è probabile che in sala fossero in 10 mila. E se in Ghana per ascoltarlo bloccano il traffico, anche il resto del mondo si è accorto di lui. Nello stesso centro conferenze di Accra, durante la sua prima visita a sud del Sahara da presidente americano, Barack Obama ha definito Anas "un giornalista coraggioso che rischia la vita per dire la verità". E ora questo reporter soprannominato "James Bond africano" è arrivato in Italia, a Perugia, ospite del Festival internazionale del giornalismo.

"Sei un cronista, un investigatore privato o una spia?" la prima domanda de L'Espresso, che lo intervista in una camera d'albergo. "Puoi chiamarmi come vuoi, a me importa solo di contribuire allo sviluppo della società. In Africa ci sono mille problemi, povertà, fame, bambini che muoiono ogni giorno: non possiamo perdere tempo a scrivere begli articoli che aiutino i lettori a rilassarsi sul divano".

Sevizie ai pazienti nell'ospedale psichiatrico, bambini venduti dai funzionari degli orfanotrofi, prigionieri con i calzoni abbassati che si spingono per poter defecare in un buco di latrina, non fa differenza. "Il mio motto è 'naming, shaming and jailing', prima i nomi, poi la denuncia e il carcere, perché gli africani chiedono un giornalismo che abbia un impatto immediato sulla loro vita".

L'obiettivo di Anas è stato questo da subito. Ancora prima delle redazioni, in un appartamento in caserma, lui figlio di militare. I tassisti picchiati dai soldati che non vogliono pagare la corsa, il racket, le tangenti e mille altri abusi. E allora si iscrive all'Università di Accra, prima legge, poi giornalismo. Convinto che le ingiustizie siano troppe e che se non si combatte l'Africa non potrà rialzarsi. Non è un caso che nel mirino della prima indagine sotto copertura finiscono ufficiali delle forze dell'ordine. È il 1999 e Anas si traveste da venditore di noccioline piazzando un banchetto sul ciglio della statale. Filma i poliziotti che taglieggiano gli ambulanti: scoppia lo scandalo e gli agenti sono licenziati uno a uno.

È l'inizio di un cammino, la messa a punto di un metodo che si fa via via più sofisticato. Storie e soffiate si moltiplicano e nasce una squadra. Operazioni in coppia, protocolli per la sicurezza, nelle missioni a rischio mai due notti nello stesso letto. I media internazionali, dalla Bbc ad Al Jazeera, cominciano ad acquistare servizi e a chiedere nuove inchieste. Anche perché agli arresti seguono scandali e nuove leggi, come quella approvata dopo l'indagine sulle sevizie nell'ospedale psichiatrico di Accra.

L'inchiesta più difficile? "Nel 2002, travestito da sacerdote cattolico in Tailandia, per verificare le condizioni delle carceri dove erano rinchiusi i detenuti africani: vidi sofferenze terribili e non finii in manette per un pelo, ma in Ghana lo shock fu tale che in poche settimane fu approvata la Legge per il trasferimento dei detenuti".

E non è tutto. Nelle prossime settimane cominceranno i processi a carico dei giudici, già sospesi o destituiti. Anas mostrerà le prove raccolte con le mini-telecamere, ma manterrà il volto coperto. "Ho mandato in prigione criminali e assassini che me la farebbero pagare volentieri" spiega: "Non è tanto la paura quanto il desiderio di raccontare la prossima storia e denunciare ancora le violazioni dei diritti umani".

È un caso ma a Perugia l'incontro con Anas segue "Morti di mafia", rappresentazione teatrale messa in scena dal collega de l'Espresso Lirio Abbate con la collaborazione di Marco Tullio Giordana. "Peppino Impastato, Giuseppe Fava, Giancarlo Siani? Confermano che il pericolo è parte di questo lavoro e soprattutto che dobbiamo continuare a indagare e denunciare, coinvolgendo i cittadini e ampliando le frontiere della democrazia".

In Africa, non solo in Ghana, sta già succedendo. Lo provano le sale piene per "Chamaleon", film-documentario su Anas reporter camaleontico e trasformista. "Lo hanno già visto in tanti paesi, dal Burkina Faso all'Etiopia, e dopo Canada, Messico, Stati Uniti e Gran Bretagna potrebbe arrivare in Italia" spiega il protagonista. Il trailer del regista canadese Ryan Mullins è in stile Hollywood. Con la differenza che qui è tutto vero.