Parla Nico Stumpo: "Più che contenti siamo preoccupati. Perché ancora una volta si perde di vista l’obiettivo. Che non è l’affermazione di Renzi, col congresso anticipato, ma il bene del Paese"

«No, non siamo contenti. Eravamo e continuiamo a esser soprattutto preoccupati», dice Nico Stumpo, già uomo macchina di Bersani, esponente della minoranza dem, per il No, che non vuole però passare per quello che brinda, salutando il governo Renzi, sconfitto al referendum. Un po’ come D’Alema, insomma, che dice di aver esultato solo per la Roma, domenica pomeriggio. O come Bersani che su Facebook si limita a dare la sua solita lettura, il suo solito avviso a Renzi, senza questa volta evocare mucche in corridoio: «È ora di comprendere finalmente», scrive l’ex segretario, «che l’alternativa tra sinistra e destra si gioca nel profondo della società. L'establishment viene dopo».

Stumpo, come i suoi compagni, è preoccupato perché, dice, vede in queste prime ore successive alla vittoria del No e alle dimissioni di Renzi «un avvitamento del dibattito sul Pd», mentre il punto non dovrebbe esser né cosa farà Renzi né «cosa sarà di un gruppo dirigente». Certo: «Siamo sicuramente soddisfatti, avendo sostenuto il No», è la piccola soddisfazione che non ci si può non togliere. «Ma non saremo certo noi a proseguire nella personalizzazione». Renzi pensa di anticipare il congresso? Bene. Ma per ora l'invito è a pensare alla crisi di governo.

«Perché il punto non è il futuro di Renzi». Il punto è anche quello («è innegabile che il voto è stato sulla riforma costituzionale ma anche su tre anni di riforme, dai voucher e dal jobs act alla buona scuola», è la stoccata), ma è il governo da fare e la legge elettorale da cambiare. Grasso, Padoan o una non meglio specificata figura istituzionale, pare non importi. «Noi ci fidiamo di Mattarella», è la versione della minoranza, che non vuole farsi lasciare in mano il cerino dell’instabilità: «E pensiamo che il Pd dovrà sostenere la proposta che arriverà dal Colle».

Insomma, Stumpo: è contento?
«No, non direi. Abbiamo fatto campagna per il No e siamo sicuramente soddisfatti. Ma sono soprattutto preoccupato, perché mi pare si stia proseguendo nella personalizzazione, anche del voto, con un dibattito che rischia di avvitarsi sul partito democratico e sul futuro di Matteo Renzi».

Dice Chiara Geloni: «?Provate a pensare cosa resterebbe oggi del Pd senza la lungimiranza di chi lo ha sottratto almeno in parte all'ordalia del bastaunsì». È questa la sensazione provata: avete salvato il Pd, oltre che la Costituzione?
«Più che salvare il Pd, alcuni di noi hanno cercato di fargli ritrovare una sintonia con il proprio elettorato e con il Paese. E, allo stesso modo, oggi, con il governo che si dimette, cercheremo di mantenere il Pd lì dove deve stare, dove stanno i suoi elettori, che hanno, in molti, votato No, ma non certo perché - come invece li si accusa - speravano nell’instabilità».

Alcuni vostri elettori hanno votato No anche se quello referendario era un voto dal valore politico, sul governo del vostro segretario?
«I più hanno votato la riforma nel merito e l’hanno bocciata, molto semplicemente, facendo lo sforzo - complicatissimo visti i toni - di restare nel merito. Però anche alcuni nostri elettori, sì, esattamente come una larga fetta degli elettori, con questo voto, hanno evidentemente bocciato anche tre anni di iniziative di governo, di scelte economiche. I dati e le analisi più fini ce le daranno i politologi e gli studiosi, ma sarebbe grave fingere di non vedere che in quel 60 per cento che ha detto No c’è anche una parte dei giovani che soffre i voucher - che non li ha certo liberalizzati lo spirito santo -, c’è un pezzo del mondo della scuola che ha vissuto in maniera negativa la riforma del governo, c’è chi il lavoro l’ha trovato ma l’ha subito perso con il jobs act. A loro, anche le buone leggi fatte, come le unioni civili o il Dopo di noi, non sono evidentemente bastate».

E adesso che il governo è stato bocciato? «Il Pd con 400 parlamentari ha la responsabilità di essere perno della governabilità del Paese», ha detto Speranza. Che significa?
«Vuol dire che noi siamo sicuri che le mani di Mattarella siano mani sicure e che il Pd dovrà sostenere la proposta che il presidente, sentiti tutti i gruppi, ci avanzerà».

È escluso, come sembra, lo scenario di un Renzi bis?
«Io ho votato convintamente Mattarella e attenderò la proposta di Mattarella, che sarà sicuramente ragionevole. Su Renzi però credo che questo referendum dica una cosa inequivocabile: se lui diceva di esser arrivato per “cambiare verso”, il verso andrà evidentemente cambiato ancora, perché non era quello giusto».

La legge elettorale comunque va cambiata, giusto?
«Quel 60 per cento che ha bocciato la riforma costituzionale ha bocciato anche l’Italicum, che con la riforma era un pezzo solo. E che infatti non è abrogato, non formalmente, ma è lì incompleto, valido per una camera sola perché immaginato come una scommessa. Il Senato, poi, ha una legge che non credo neanche sia direttamente applicabile. Mi pare evidente che una legge elettorale vada fatta. Credo però che anche questo obiettivo verrà indicato da Mattarella».

Nel mentre servirà un governo. Cosa dobbiamo aspettarci quando sentiamo citare, anche da esponenti della minoranza dem, «una figura istituzionale»?
«Non lo so, e nomi non è utile farli. Ma i governi, per quel che mi riguarda, sono tutti politici e il Pd è un partito in cui mancano certo le personalità che potrebbero svolgere questo compito. Un compito che richiede una certa capacità di ascolto, che è quello che è mancato finora».

Renzi potrebbe rimettere in palio la segreteria, anticipando il congresso e poi le elezioni. È quello che volevate? Siete pronti?
«Io penso che uno dei rischi da evitare è che il Pd si chiuda in se stesso, finendo per aumentare la distanza che si è creata in questi anni. Non trovo nessuno che si domandi in queste ore che fine faranno alcuni dirigenti o che sarà dell’organizzazione del Pd. Mi chiedono cosa faremo per il Paese».

Renzi è sconfitto ma di qualche cifra può ancora vantarsi. L’affluenza che sfiora il 70 per cento significa che con il 40 per cento di Sì, Renzi intercetta 13 milioni di voti. Sono più o meno, sommati, quelli che presero Pd e Ncd alle Europee…
«Ho appena letto un tweet di Luca Lotti che dice col 40 per cento sono partiti nel 2012 - la sconfitta delle primarie contro Bersani - col 40 per cento hanno vinto le Europee e col 40 per cento ora ripartiranno. È un errore. Io non penso che quel 40 per cento sia di Renzi né del Pd, perché lì c’è chi ha votato Sì nel merito e magari non è un nostro elettore o non lo sarà in futuro».