Dopo il cambio delle presidenze di commissione nell’estate 2015, numerosi forzisti hanno perso il potere che avevano. E così sono crollati nella capacità di incidere sui lavori delle Camere. Come mostra l’ultimo dossier OpenPolis sulla produttività di deputati e senatori

Che fine ha fatto Daniele Capezzone? Sparito dai radar dei media l’ex enfant prodige radicale, poi berlusconiano di ferro e adesso convinto fittiano sembra aver smarrito un ruolo di primo piano anche in Parlamento. Eletto presidente della commissione Finanze di Montecitorio ai tempi delle larghe intese del governo Letta in quota Forza Italia, nell’estate 2015, al giro di boa della legislatura, ha dovuto lasciare il posto all’alfaniano Maurizio Bernardo, esponente della maggioranza.

E così Capezzone, prima relatore di importanti provvedimenti come il decreto Imu o il Salva Roma, da allora si è inabissato: ha perso la capacità di incidere sull’attività legislativa e oltre 40 posizioni nella classifica della produttività (attualmente è 74esimo). Il deputato di Cor può tuttavia consolarsi, perché il suo non è un caso isolato. A leggere il dossier stilato dall’associazione Openpolis e che l’Espresso presenta in anteprima da sabato in edicola, le improvvise fortune e le repentine discese di classifica seguenti ai cambi di poltrona sembrano infatti essere la regola.


Anche l’ex ministro Nitto Palma (Fi) ha conosciuto un'eclisse simile: presidente della commissione Giustizia del Senato, pure lui ha dovuto cedere il passo a un uomo di Alfano, Nico D’Ascola. Senza più quella posizione-chiave, la produttività dell’ex Guardasigilli, misurata con l’assegnazione di differenti punteggi in base alle attività svolte (emendamenti, proposte, ddl approvati) è crollata dell’82 per cento.

Il motivo di tali rovinose cadute è semplice: in un Parlamento in cui le leggi le fa sostanzialmente il governo, il ruolo del relatore è ormai uno dei pochi che consente di voce in capitolo sui provvedimenti. E siccome il compito viene spesso affidato proprio ai presidenti di commissione (che hanno anche l’ultima parola sul calendario dei lavori e ricevono 1.200 euro in più in busta paga come indennità di funzione), senza più incarico pure l’incisività politica va a farsi benedire.

I più colpiti sono proprio i forzisti passati all’opposizione dopo la decadenza di Silvio Berlusconi e quindi maggiormente penalizzati dal rimpasto al vertice delle commissioni di metà legislatura. Destini, i loro, che si incrociano con quelli dei loro sostituti: il senatore Antonio Azzolini, prima a capo della Bilancio, è sceso dal 52esimo al 64esimo posto; il renziano Giorgio Tonini, che gli è succeduto, ne ha guadagnate 25 (ora è 43esimo) e grazie anche alla possibilità di occuparsi in prima persona di provvedimenti cruciali come il decreto Salva imprese, ha raddoppiato la sua produttività.

L’ha invece dimezzata l’azzurro Francesco Paolo Sisto, ex numero uno della commissione Affari costituzionali, mentre il suo successore Andrea Mazzotti Di Celso l’ha addirittura triplicata. E proprio questo semi-sconosciuto parlamentare montiano impersona alla perfezione il fenomeno. Prima si era occupato al massimo del decreto contro la violenza negli stadi, adesso, dopo aver fatto da relatore al ddl sul finanziamento dei partiti e aver approvato svariate modifiche all’ultima manovra, è 41esimo: in un anno e mezzo scarso ha risalito un centinaio di posizioni.