Le reazioni dei mercati finanziari e degli ambienti politici a Mosca sono state pacate. Perché il nuovo leader americano "è imprevedibile come una roulette russa", dicono gli analisti. Ora il Cremlino vuole negoziati a 360 gradi con Washington, ma non sarà una partita in discesa

Mentre negli Stati Uniti era notte fonda e Vladimir Putin telegrafava congratulazioni e auguri di buon lavoro a Donald Trump, la borsa di Mosca ha aperto con un esitante rialzo che si è poi moderatamente irrobustito, in controtendenza con quanto avveniva in quel momento nel resto del mondo. Rublo quasi invariato nei confronti del dollaro. Questo nonostante il ribasso dei prezzi petroliferi, da cui l'economia russa dipende quasi quanto quella saudita.

I mercati finanziari in Russia hanno preso atto della vittoria del candidato alla Casa Bianca preferito dal Cremlino, o almeno indicato come tale dalla propaganda governativa. Ma non c'è stata la festa che qualcuno si aspettava. "Trump potrebbe ritirare anche subito le sanzioni economiche decise dopo l'annessione della Crimea per decreto presidenziale, ma le sanzioni votate dal Senato resterebbero: non credo che la maggioranza repubblicana che le ha votate - e che rimane - voglia tornare sui sui passi", spiega all'Espresso il responsabile delle strategie di investimento sulle materie prime di Bnp Paribas Harry Tchilinguirian. Che non si aspetta effetti se non momentanei per le azioni russe e per i corsi del greggio.

GIUDIZIO SOSPESO
La festa c'era stata qualche ora prima nel locale scelto dai fan moscoviti di The Donald per seguire i risultati elettorali americani, addobbato con tre giganteschi ritratti dello stesso Trump, della Le Pen e del presidente Putin in posa da imperatori romani, o se preferite da leader sovietici secondo i canoni del realismo socialista. Clima mesto, invece, all'ambasciata americana, dove l'ambasciatore John Tefft ha fatto il suo lavoro offrendo ciambelline e dicendo che i rapporti con la Russia saranno una priorità della nuova amministrazione, e che le crisi in Siria e Ucraina potranno esser risolte. In mattinata, poi Tefft ha invitato i suoi preoccupati colleghi occidentali per parlare più professionalmente della nuova situazione, ha riportato in diretta la radio indipendente Echo Moskvi.

"Mosca valuterà le prestazioni della nuova leadership della Casa Bianca dalle sue azioni" ha detto il ministro degli Esteri Sergey Lavrov alla Tass, spiegando che Trump sembra imprevedibile ma non è certo il primo partner imprevedibile con cui la Russia abbia avuto a che fare. La Duma invece ha subito applaudito l'elezione del candidato repubblicano: secondo il presidente dell'assemblea Vyachslav Volodin il dialogo con Washington potrà ora riprendere in modo più costruttivo. La Chiesa ortodossa, strettamente legata al Cremlino, non manifesta entusiasmo: "Non penso che dovremmo indulgere in euforia per la vittoria del repubblicano", si legge in un comunicato del metropolita a capo delle relazioni esterne del patriarcato.

Per ora non sono in programma incontri tra Putin e Trump, chiarisce il portavoce del presidente russo, Dmitry Peskov. Né potrebbe essere altrimenti, per correttezza istituzionale, prima del giuramento del nuovo presidente americano in gennaio. Ma a Mosca non ci si aspetta molto, né dal primo vertice e né dalle negoziazioni a 360 gradi che il Cremlino vorrebbe avviare.

CI CONVENIVA HILLARY
"Nessun riavvicinamento, nessuna distensione, nessun nuovo inizio, e le sanzioni non saranno annullate", dice all'Espresso il politologo del think tank Carnegie Center Andrei Kolesnikov. "Ci sarà solo da partire da zero o anche da meno di zero, e Donald Trump alla presidenza non fa alcuna differenza: il diavolo è nei dettagli". Ovvero nei tanti nodi da risolvere, che vanno dalla guerra siriana alla crisi Ucraina, dall'allargamento della Nato (che sollecita la sindrome da accerchiamento di cui soffre da sempre la Russia) al controllo degli armamenti nucleari. In particolare, Kolesnikov ritiene che finché il riconoscimento della sovranità sulla Crimea resterà all'ordine del giorno e gli accordi di Minsk non saranno rispettati, non ci sarà nessuna avance da parte di Washington.

Molti analisti, anche vicini al Cremlino pensano che sarebbe stato più facile trattare con Hillary Clinton. "Trump? Negoziare con lui sarà come giocare alla roulette russa (sic)", ha detto alla Bbc Nikolai Zlobin, del World Security Institute". Trump "può cambiare idea in ogni momento, mentre la Clinton la conoscevamo e sapevamo cosa aspettarci e come parlarci", spiega Kolesnikov: "Il nuovo presidente Usa è un businessman, la politica richiede un approccio ben diverso da quello di un affarista", ha scritto Fyodor Lukyanov su Russia in Global Affairs. "La politica estera russa alle incertezze preferisce le certezze, anche se negative, e Trump rappresenta una grande incertezza", ha dichiarato alla testata indipendente Rbc Andrey Sushentsov, direttore del Forum Valdai (istituzione ispirata al Forum di Davos). "Hillary Clinton avrebbe assicurato una leadership più chiara e prospettive maggiormente delineabili: il repubblicano non ha offerto nulla di concreto per il miglioramento dei rapporti con la Russia, solo parole di simpatia", nota Sushentsov.

MOSCA VUOL CREDERE AL DISGELO
Una cosa appare certa: la volontà di Mosca di trattare. L'aggressività politico-militare degli ultimi mesi è stata resa possibile dall'inevitabile passività dell'amministrazione Obama alla fine del mandato presidenziale. Era comunque inutile aprire negoziati con un presidente in scadenza. Quindi si è puntato a creare una posizione di forza, a colpi di azioni belliche e di iniziative diplomatiche spregiudicate condite da una pesante retorica di contrapposizione all'Occidente.

La politica estera del Cremlino è pragmatica, si fonda sull'opportunismo costruttivo, coglie le occasioni che si prospettano. Mosca ritiene di aver ampiamente dimostrato di esser tornata una grande potenza. È il momento giusto per fermarsi, e parlare. "Da gennaio, con un nuovo presidente alla Casa Bianca, avremo finalmente la possibilità di iniziare colloqui sulle crisi geopolitiche e le contrapposizioni createsi con gli Usa", diceva fin dall'agosto scorso - intervistato dall'Espresso - Alexey Chesnakov, direttore del Center for Current Policy (Ccp). L'istituto è consulente della presidenza della Federazione Russa, ovvero di Putin.


I motivi per cui si vorrebbero normalizzare al più presto i rapporti internazionali sono interni: riguardano l'economia, e l'autoconservazione della élite al potere. La recessione fa tirar la cinghia ai russi: il 51 percento della popolazione vive con non più di dieci dollari al giorno, secondo un rapporto appena pubblicato dalla Banca Mondiale. La formazione di una classe media, grande novità degli anni duemila, si sta rivelando una chimera. Nel 2017 l'economia ricomincerà a crescere, prevede il rapporto, ipotizzando un aumento del prodotto lordo pari all'1,5 percento. Ma intanto i conti pubblici soffrono, tanto che si ritengono inevitabili tagli alla spesa militare, finora considerata intoccabile, su cui si fonda la sua capacità di presentarsi come potenza globale.

E IL VINCITORE È... VLADIMIR PUTIN
Intanto si avvicinano le presidenziali del 2018. Il nuovo capo dell'amministrazione del presidente, Sergey Kirienko, sta incontrando i maggiori esperti di strategie e marketing politico per preparare le elezioni. Lo hanno confermato molti dei partecipanti ai meeting. Secondo Rbc, al centro delle riunioni è l'ipotesi che Putin si ricandidi per vincere in un contesto politico almeno apparentemente meno autoritario di quello attuale: si tratta di guadagnare credibilità tra le classi medie che hanno disertato le urne alle parlamentari del settembre scorso. L'astensionismo ha spaventato il Cremlino: bisogna evitare che diventi protesta. Per questi motivi, l'autorevole esperto di marketing politico e lobbista Yevgeny Minchenko prevede addirittura una "rivincita liberale", nel prossimo futuro.

Paradossalmente, con Trump alla Casa Bianca, raggiungere l'obbiettivo "disgelo" per il Cremlino potrebbe essere più complicato di quanto lo sarebbe stato con una presidenza Clinton. Resta il fatto che tra assalti informatici, polemiche sulle amicizie russe di Trump e dei suoi collaboratori, caos nei team dei candidati e dibattiti sui media, la Russia è stata protagonista della campagna presidenziale americana almeno quanto i due candidati. Altro che «potenza locale», come Barak Obama la ha definita. Oggi è davvero difficile mettere in discussione il ruolo globale del Paese più grande e con più testate nucleari al mondo. In attesa delle presidenziali russe, Vladimir Putin ha vinto quelle americane.