E' il governatore campano la copia più fedele, in casa nostra, del neo presidente Usa. Un uomo a cui si perdona tutto, anche le frasi su Rosy Bindi, perché fa vincere le elezioni

Il confronto è con un gigante ma De Luca è formidabile nelle allusioni, nell’esibire un certo orgoglio maschio. Si stampa un sorrisetto sulla faccia, ad esempio, quando replica a un esposto di Italia Nostra preoccupata per il destino delle «passere d’Italia», la cui nidificazione, per gli ambientalisti, sarebbe stata messa a rischio dall’abbattimento di alcuni platani a Salerno: «Le passere d’Italia avranno motivo di conforto» dice sicuro il governatore. Che sa bene di non essere Brad Pitt, come ammette divertito («E lui non è George Clooney», dice indicando Bersani). Ma si lancia. «Se non siete molto esigenti sul piano estetico, vi faremo impazzire».
 
Impareggiabile è poi negli insulti. Il cui bersaglio preferito, persino più di Bindi, più della minoranza dem («Miguel Gotor, io pensavo fosse un ballerino di flamenco»), più della destra («La Russa a giudicare dalla sua lingua non si sa se appartenga all’etnia albanese o kosovara»), è il Movimento 5 stelle.

«Vito Crimi detto il procione», è la definizione più bonaria data di un esponente grillino. Di Di Maio, Di Battista e Fico disse che «sono tre mezze pippe». E anche per loro gli è scappato di evocare la morte. «I tre si odiano, si baciano, si abbracciano, ma sono falsi come giuda, ognuno vorrebbe accoltellare l’altro alla schiena», è la legittima analisi, conclusa però con un liberatorio «che vi possano ammazzare tutti».
 
Insomma. De Luca è scomodo, ma lui ne va fiero, anche se per molti nel partito democratico comincia a esser un problema. Ma lo è sempre fino a un certo punto, finché basta una tirata d’orecchie. Perché poi con De Luca bisogna fare i conti. Bisogna fare pace, come ha fatto Matteo Renzi che in Campania non per nulla ha sospeso ogni foga rottamatrice («La rottamazione si è fermata a Salerno», dice l’ex dem Fassina), preferendo rottamare Rosy Bindi più che De Luca. E alle ultime regionali, mentre Bindi parlava di impresentabili, non ha avuto nulla da ridire per l’accordo stretto da De Luca con alcuni ex forzisti.

La Campania così è dove per la prima volta è uscito alla luce del sole l’accordo coi verdiniani, ed è proprio il listone messo insieme dal senatore Vincenzo D’Anna ad aver, coi suoi 35mila voti, assicurato la vittoria dell’esuberante presidente. Che oggi viene bacchettato («All’ultima lezione di tango gli avevo consigliato di non bere», dice Gotor strappando almeno un sorriso, in tutta la vicenda) ma che è sempre stato così. De Luca è quello che - sì, è vero, con fare divertito - arringa duecento sindaci campani complimentandosi con chi riuscirà a mettere insieme più voto clientelare in vista del referendum costituzionale. «Ognuno di noi deve dire quanti cittadini nel proprio comune porta a votare», dice De Luca, che non si dica che lui le campagne elettorali non sa organizzarle. «Sono arrivati fiumi di soldi: 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli», dice il governatore ai sindaci, «che dobbiamo chiedere di più?». È questo De Luca, che però, per un saggio della sinistra come Emanuele Macaluso, «segnala in maniera netta il fallimento della rottamazione renziana». Lui e la candidatura di Bassolino alle ultime primarie comunali, per Macaluso.

Con una differenza: «Bassolino», ha spiegato a Giuseppe Alberto Falci, «è una personalità che ha avuto rilievo nazionale. Ha avuto ruoli di governo, ha amministrato Napoli e poi la regione. Una storia, la sua, nella sinistra del Pci, prima ingraiaiana poi occhettiana». De Luca, invece, «è stato un ottimo sindaco, ma ha una visione lontana dalla sinistra». «Quando ero direttore de il Riformista», è il ricordo, «feci un editoriale al vetriolo per come trattava gli immigrati. Arrivò a dire che gli immigrati si dovevano cacciare prendendoli a calci nei denti».