A riavvolgere il filo della sua avventura umana, politica e artistica, si scopre che ?Fo e il nostro giornale hanno camminato sempre fianco a fianco. Abbiamo dato spazio, anche in copertina, alle sue invenzioni e alle sue provocazioni. Abbiamo recensito il suo lavoro. Abbiamo dato conto dei suoi successi e criticato talvolta le sue posizioni politiche. Fino alla fine

«Le filastrocche di Fo, la sua parlantina allusiva, i cori che compone, i pretesti che trae dalla cronaca, la sua stessa figura paradossale al di fuori dei canoni di quello che generalmente si chiama la simpatia scenica sono tali da costringere lo spettatore ?a un impegno polemico: o contro o a favore». Così scriveva l’Espresso, dicembre 1962, in ?un articolo titolato “Hanno avuto paura di Fo”, in cui venivano svelati i retroscena della sospensione del suo “Canzonissima” dalla Rai. ?Ma a riavvolgere il filo della sua avventura umana, politica e artistica sfogliando le pagine dell’Espresso, si scopre che ?Fo e il nostro giornale hanno camminato sempre fianco a fianco.

Abbiamo dato spazio, anche in copertina, alle sue invenzioni e alle sue provocazioni. Abbiamo recensito il suo lavoro. Abbiamo dato conto dei suoi successi e criticato talvolta le sue posizioni politiche. Fino alla fine, se è vero che l’ultimo intervento pubblico firmato da Fo è un articolo scritto per l’Espresso nell’agosto scorso, “Io, populista e me ne vanto”, in cui difende ?il suo percorso nei movimenti rispondendo a un pezzo ?di Marco Belpoliti.
Nel 1962 scrivevamo: «Uno spettacolo di varietà è stato sospeso, un ministero ha cambiato titolare, l’ala fanfaniana della DC ha incassato un colpo». ?

E ancora: «È noto che non si può andare a vedere Dario Fo come ?si va a uno spettacolo di rivista qualsiasi», prefigurando la sua traiettoria di teatro politico. ?Poi, negli anni, l’Espresso ha raccontato Dario Fo e Franca Rame nelle loro battaglie.?Dagli attivissimi, travagliati anni Settanta: la scelta, per la sede ?del suo teatro La Comune, della palazzina Liberty di Milano, l’ideazione di pièce coraggiose come “Dio, patria e galera” ?e gli scandali su “Mistero Buffo”.

Per rispondere alla chiamata alle armi della Chiesa contro la sua trasmissione in tv, nel maggio 1977 Fo firmò la copertina dell’Espresso. La sua “Lettera ?al cardinale” era indirizzata al porporato Poletti e lo raffigurava, giocando con l’antifrasi, come ?un campione della libertà sotterraneamente impegnato nel denigrare l’opera per accrescere l’interesse del pubblico. Ma, sempre nei Settanta, i suoi giudizi entusiasti sulla Cina maoista venivano così commentati sull’Espresso da Giorgio Bocca: «Un certo tipo di intellettuale di sinistra va a Pechino come a Lourdes per vedere il miracolo ?e ricevere lo Spirito Santo». Negli anni Novanta, Rita Cirio l’ha intervistato sul “suo” Molière alla Comédie Française e la sua intenzione di far emergere di quel classico «l’ipocrisia, gli avvocati, l’uso della parola e della terminologia a uso terroristico, ?la truffa».

Nel 1997, abbiamo commentato il suo Nobel per ?la Letteratura parlandone con Franca Rame. Anni dopo, siamo entrati nella casa milanese della coppia durante la stesura di “Una vita all’improvvisa”, la biografia §di Rame uscita nel 2009. Nei Duemila, Dario Fo ha detto la sua sulla Milano del tramonto di Formigoni, contro la «rete ciellina che ci ha imposto una chiesa politica dell’affarismo tra amici ?e iniziati», e ha difeso la sua amicizia con Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio e il suo supporto al Movimento Cinque Stelle. Infine, commentando le scelte sue e della moglie, ha scritto con serenità: «Certamente facevamo parte di un grande movimento, ma non vedo come ?si possa affermare che questa partecipazione ci abbia garantito sonni tranquilli». Non tranquilli, certamente. Ma ricchi di idee, ?progetti, impegno.