Dopo il caso Muraro, il candidato premier dei 5 Stelle ha un’altra grana. Rispetto ai suoi colleghi spende troppo in "attività sul territorio" rimborsate da Montecitorio. «Per un parlamentare è normale», si difende il vicepresidente della Camera. Che deve fare i conti però con anni di retorica 5 stelle

Difficile raccontare l’ultima grana di Luigi Di Maio senza ripercorrere le giornate - ancora più dure - del caso Muraro, quando una serie di mail e sms scambiati con la sindaca di Roma Virginia Raggi hanno dimostrato che il vicepresidente della Camera sapeva eccome dell’inchiesta aperta in procura sull’assessore ai rifiuti della giunta 5 stelle. Difficile non legare i due inciampi, e non solo perché, come in quel caso, anche la vicenda dei 100mila euro spesi in tre anni in “attività sul territorio”, con le amare reazioni, fa affiorare le liti interne ai 5 stelle, i malumori per la leadership designata del mediatico Di Maio. Malumori che vengono sempre negati, ma che puntualmente affiorano e, in questi casi, escono dai retroscena.



Il link tra le accuse sulle spese sostenute per le attività politiche - e prontamente rimborsate dalla Camera - e il caso Muraro è anche un altro: il wannabe candidato premier del Movimento sconta sulla sua pelle anni di propaganda degli stessi 5 Stelle. «Io non grido allo scandalo se il vicepresidente della Camera spende trentamila euro l’anno per fare attività politica», dice ad esempio all’Espresso Giuditta Pini, deputata democratica solitamente per nulla tenera coi 5 stelle: «Quello che mi piacerebbe è che si dicesse però una volta per tutte che la politica ha un costo e che non è vero che tutti la possono fare gratis o pagando di tasca loro, perché non tutti sono imprenditori o ricchi professionisti con una rendita».

Di Maio, insomma, nel caso Muraro ha scontato il mito giustizialista, l’idea che ogni indagato sia comunque colpevole; nell’altro, con questa polemica sui rimborsi sconta anni di retorica anti-casta, la promessa di una politica francescana che si infrange con la vita vera: scoprendo che anche stando attenti qualcosa si spende, qualcosa si tiene dei rimborsi forfettari che la Camera ha previsto per i suoi eletti.



«Sono meno di tremila euro al mese», dice infatti Di Maio per difendersi, rendendosi conto che la frase può anche esser sensata, la cifra è poca cosa, ma stride con il mantra finora ripetuto dai 5 stelle. Stride anche con le spese sostenute dai suoi colleghi - molto più oculati - ma che non sono esposti come Di Maio, non sono certo premier designati loro, non volano all’estero, non incontrano ambasciatori e imprenditori.

Ed ecco, ancora, la mutazione a cui abbiamo dedicato una nostra copertina. Doveva esser il movimento che fa dimettere tutti alla prima notizia d’inchiesta, e con Di Maio e i primi sindaci ha invece scoperto che le inchieste vanno prima valutate, e che ci sono accuse che richiedono dimissioni immediate e altre il cui peso invece si può sostenere; doveva esser il movimento della politica a costo zero e invece ha scoperto che il vicepresidente della Camera, proprio per muoversi e far crescere il Movimento, un po’ spende; dovevano essere il movimento dove l’uno vale uno, scoprono invece che è normale che qualcuno valga più degli altri, giri più degli altri, spenda più degli altri, soprattutto nell’epoca dei leader telegenici.

«Tutti quanti utilizziamo fondi per spostarci su territorio», dice ancora Di Maio, sempre per giustificarsi. Che sa benissimo però - i conti li hanno fatti due ex collaboratori del Movimento, Marco Canestrari e Nicola Biondo - di aver speso più di Alessandro Di Battista (fermo a 16mila euro, ma prima del tour in moto) o di Roberto Fico (poco più di 31mila euro, fino a maggio 2016), il presidente della commissione di vigilanza Rai non per nulla indicato come la guida del malumore interno.

E sa Di Maio di esser così perfetto bersaglio del Pd, dove i renziani soprattutto sono prontissimi a fare quello che finora con gli altri ha fatto il Movimento. «Come fa Luigi Di Maio a parlare di risparmi, di lotta agli sprechi e di attività politica francescana se poi si fa rimborsare dalla Camera la bella cifra di 100mila euro per attività sul territorio?'», si chiede ad esempio Alessia Morani, che è vicepresidente del gruppo Pd alla Camera. «Il vicepresidente della Camera deve avere una strana idea della famosa 'politica a costo zero' tanto sbandierata da lui e dai suoi colleghi pentastellati ad ogni piè sospinto», aggiunge Emiliano Minnucci, anche lui deputato: «Centomila euro per eventi sul territorio sono una bella sommetta, ancor di più se considerato che non comprende aerei e treni sui quali viaggia gratis».

Più prudente è ancora Giuditta Pini: «Mi piacerebbe andare oltre», ci dice ancora, «e approfittare della polemica per ricordare che il Movimento 5 stelle non pubblica un bilancio perché non ha un tesoriere e che i resoconti dei loro deputati e senatori, che con vanto sono pubblicati sul sito tirendiconto, sono in realtà molto opachi». «Ma non potrebbe esser altrimenti», continua Pini, «perché lì Di Maio e i suoi colleghi fanno rientrare molte spese politiche che gli altri partiti finanziano con i rimborsi elettorali o con i fondi dei gruppi. Non si spiegano altrimenti tutte queste spese per affitti, cene o appunto attività sul territorio».