Le forze di sinistra restano senza ossigeno

Per quanto possa essere difficile ?da accettare per ogni liberal, cresciuto nell’ostilità per il mondo chiuso e arretrato del dogmatismo marxista e comunista, è solo con l’arrivo di Mikhail Gorbaciov prima, e con la caduta dell’impero sovietico poi, che il capitalismo ha rotto gli argini. Grazie alla disfatta del “nemico”, che obbligava, magari inconsciamente , a qualche riserva, le batterie politico-ideologiche preparate nei think tank neo-conservatori hanno potuto cominciare a sparare ad alzo zero contro la classe operaia e i suoi rappresentanti sindacali e politici. Il declino della sinistra riformista europea parte ?da qui, dalla disarticolazione della sua componente sociale storicamente maggioritaria. Fino ad allora la sinistra aveva resistito, seppure con qualche affanno, alla sfida portata dai movimenti sociali degli anni ’70 e ’80 ispirati al post-materialismo, più interessati alla qualità della vita che alla crescita economica e al benessere. Quella sfida, tutta interna alla sinistra, non aveva indebolito più di tanto ?i partiti socialisti. Semmai li aveva “invecchiati” perché i temi del post-materialismo catturavano gli elettori più acculturati, e quindi i più giovani, piuttosto che gli operai e i lavoratori a bassa qualificazione.

È invece sul terreno economico-sociale che la sinistra ha perso il passo. L’offensiva condotta con il combinato disposto ?di globalizzazione e finanziarizzazione, ?ha portato alla contrazione delle grandi strutture produttive (come mostrano ?i dati relativi alla scomparsa della grande industria in Italia), anche sulla scia ?del refrain “piccolo è bello”. Il lillipuzzianamento della struttura produttiva industriale italiana, che peraltro va di pari passo con la stagnazione economica ventennale, ha offerto una splendida opportunità per liberarsi del sindacato.

La solidarietà operaia è nata infatti nelle grandi fabbriche dove migliaia di persone condividevano la stessa vita lavorativa. Una volta ridotte le dimensioni delle imprese diventa meno agevole avanzare rivendicazioni. In più “l’esercito di riserva” dei nuovi arrivati sul mercato del lavoro ?si è ingrossato sempre più in questi anni ?di immigrazione, mettendo la tradizionale classe operaia in una condizione di difesa.

I partiti socialisti non hanno saputo reagire a questa trasformazione epocale. ?O, meglio, hanno intrapreso una strada ?di corto respiro che li ha tenuti a galla ?per qualche anno, fino alla fine degli anni Novanta. Da un lato, hanno cercato ?di “addomesticare la bestia”, portando qualche correttivo ai processi di ristrutturazione economica, determinati però da istituzioni e dinamiche globali ?fuori dalla loro portata; dall’altro hanno recuperato molte istanze post-materialiste facendosi portatori essi stessi ?di tematiche connesse ai nuovi diritti ?e alla qualità della vita.

In un modo o nell’altro hanno perso ?di vista i problemi della loro componente sociale tradizionale, finendo per smarrire anche l’identità. Infatti, cosa significa oggi essere socialista? Al meglio, difendere il welfare state - che comunque è già molto - , non certo modificare i rapporti di forza ?tra le classi, ormai squilibrati a favore ?del capitale.

Non per nulla tra i lavoratori manuali o a bassa qualificazione circola un sentimento di abbandono se non di tradimento da parte dei tradizionali riferimenti politici. Questo sentimento ha prodotto una migrazione storica, forse non più recuperabile, verso i partiti della estrema destra populista. Ovunque, dall’Austria alla Danimarca, dalla Francia alla Norvegia, questi partiti sono votati in massa dalla classe operaia. Il fronte nazionale di Marine Le Pen ha soppiantato il partito comunista quanto a presenza di operai nel suo elettorato. E anche la Lega ha mietuto successi in quegli strati sociali. Ma differentemente dagli altri Paesi europei non ha (ancora?) sfondato. Per la semplice ragione che in Italia è entrato in campo ?un nuovo attore, vergine alla politica e al potere, che ha re-indirizzato l’umore cupo di tanti italiani investiti dalla crisi verso ?i “politici”, additati a responsabili di ogni male. Questo messaggio trasversale taglia le classi e le fedeltà pregresse. ?E rende ancora più improbo un recupero ?da parte del partito erede della tradizione di sinistra di classe, il Pd.