Il presidente russo e i suoi fedeli, cresciuti nel Kgb, vogliono a tutti i costi mantenere il potere. E per farlo sono disposti a infiammare lo spirito nazionalista del Paese. Per trattare con il nuovo presidente Usa da una posizione di forza. L'approfondimento sull'Espresso in edicola domenica

Ci sarà la guerra, Timofey? "Oddio, no. Credo proprio di no. Putin fa la voce grossa solo per poi trattare con il nuovo presidente americano. E' intelligente, mica vuole la catastrofe nucleare".

Timofiey Kilikov, 35 anni, manager di una rivista d'arte, parla con l'Espresso mentre attraversa a piedi il cimitero degli elefanti dell'Urss: le grandi statue di bronzo dei leader sovietici spodestate dalle piazze di Mosca dopo il crollo del comunismo sono state restaurate e sistemate nel parco Museon. C'è gente che porta a passeggio il cane. Un setter fa pipì sotto un busto di Brezhnev. Ci sono studenti che, come il manager Timofiey, vanno alla galleria Tretyakovskaya per l'arte contemporanea che si affaccia sul parco. E c'è gente di passaggio che si dirige verso il ponte Krimsky e la stazione metro di Park Cultury - il Gorky Park del thriller di Martin Cruz Smith.

"Cosa? Mannò, nemmeno per idea", risponde stupita una studentessa di architettura alla domanda bellica. "Guerra? Speriamo di no", fa un cinquantenne frettoloso: "magari una piccola piccola", aggiunge mentre se ne va. "Sì, ci sarà. Ne parlano tutti i telegiornali: una qualche guerra ci sarà", dice la mamma di un ragazzino che gioca tra le statue. La più imponente di tutte, quella di Felix Dzerzhinsky - il vero inventore della Ceka e quindi del Kgb - sembra approvare. E' appena stata magnificamente restaurata. Ci sono proposte per rimetterla al suo posto alla Lubyanka. Senza seguito, per ora.

Per carità, non immaginiamoci che i russi siano tutti qui ad aspettarci col fucile in mano e l'elmetto in testa. Ma la retorica che ha accompagnato i fatti militari e politici più recenti è pesante, e l'appello al senso di accerchiamento e al nazionalismo patriottico tocca corde profonde della memoria storica della popolazione. La propaganda del Cremlino fa presa eccome. Soprattutto fuori dalle grandi città. Ma a Mosca non ci sono le file per la distribuzione di alimentari d'emergenza e di kit anti-atomici, stiamo pur tranquilli. L'unica coda che si vede, almeno dal cimitero degli elefanti dell'Urss, è quella per entrare alla mostra del maestro della pop art sovietica Leonid Sokolov, alla galleria dell'arte contemporanea.

SVILUPPI PERICOLOSI
Resta il fatto che è dai tempi in cui erano in vita questi signori di bronzo che in Russia non si parla in termini così espliciti della possibilità di un conflitto nucleare con gli Stati Uniti. E non sono solo le parole a spaventare. L'ultima notizia è potenzialmente parecchio pericolosa: la Russia potrebbe dispiegare i suoi potenti sistemi di difesa antiaerea e antimissilistica in Turchia, paese che almeno finora fa parte della Nato. Vladimir Putin ha parlato di questa possibilità con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan durante il recente viaggio a Instanbul, ha detto il portavoce del leader russo Dmitri Peskov - secondo quanto riporta l'agenzia Tass. Con buona pace di chi ancora ritiene una bufala l'inedita alleanza russo-turca per la crisi siriana.

Intanto, Putin ha firmato il decreto che rende permanente la base aerea di Mosca alle porte di Latakia, in Siria.

Riassumendo, nel corso degli ultimi dieci giorni: Mosca ha fatto salpare per il Mediterraneo tre navi da guerra con a bordo missili che possono trasportare testate nucleari; è partita per la Siria anche l'unica grande portaerei russa, la Admiral Kuznetsov, alla sua prima missione di guerra; un'altra nave, la Yantar, è sul posto. Fu sospettata di tagliare cavi internet lo scorso anno a largo di Cuba, e appena è arrivata la rete in Siria ha smesso di funzionare regolarmente - scrive Foreign Policy, ricordando come altre volte sia successo prima di un'offensiva di Assad. Ha inoltre dispiegato missili Iskander-M (anch'essi potenzialmente forieri dell'apocalisse) a Kaliningrad, l'enclave russa tra Polonia e Lituania; La Russia ha annuciato l'invio di centinaia di paracadutisti in Egitto per una "esercitazione militare"; Il Cremlino ha unilateralmente sospeso tre accordi con gli Usa per la non proliferazione degli armamenti nucleari; Mosca ha annunciato l'arrivo di sistemi di difesa aerea e missilistica integrati S300-S1 in Siria, dove erano già presenti sistemi S400-S1 presso la base russa di Latakia.

Questi armamenti avveniristici e terribilmente efficaci consentono il completo controllo dello spazio aereo. Possono abbattere qualsiasi velivolo appena stacca le ruote da una pista di volo, anche in Turchia. Solo gli stealth, i cosiddetti aerei invisibili, possono sfuggire allo S400. Per questo è integrato dal sistema S1-Pantsir: gli stealht sono la sua cacciagione preferita.

MAI COSI' DAI TEMPI DI BREZNEV
"Almeno dall'inizio degli anni Ottanta non si è mai vista una simile tattica di avvertimenti diretti e minacce", scrive sulla Russia in Global Affairs l'analista di politica estera Fyodor Lukyanov, spesso su posizioni governative. "Nemmeno nei giorni della guerra contro la Georgia nel 2008 e nella fase più acuta della crisi Ucraina nel 2014 si è arrivati a questi livelli", e precisa: "per il conflitto siriano, la logica politico-diplomatica ha lasciato il posto a una logica militare-politica, e a questo gioco duro, anche se da tempo si parla di un ritorno alla guerra fredda, in realtà non siamo più abituati".

Il maggior rischio, secondo Lukianov, viene dal fatto che "la guerra fredda è specialmente pericolosa nello stadio iniziale", quando ancora non è chiaro dove siano i paletti a cui ci si deve fermare per evitare il peggio.

"E' una situazione molto pericolosa", concorda Yevgenia Albats, politologa e giornalista. Anche perché, spiega, "gli odierni inquilini del Cremlino non hanno paura della guerra, non sono come i loro predecessori sovietici che avevano avuto un'esperienza diretta del secondo conflitto mondiale e la guerra la temevano, come anche gli americani".

La Albats, figura quasi mitica dei pochi media indipendenti rimasti in Russia, l'Urss ha fatto in tempo a conoscerla bene. Gli uomini oggi al potere "vengono dal Kgb" nota "e hanno un background che li ha abituati a considerare gli Stati Uniti come il nemico numero uno. Vivono in un'atmosfera da cospirazione, trattare con loro è difficile".

QUALCOSA DA PERDERE
Ma sono davvero fatti così, l'ex colonnello del Kgb Vladimir Putin e i suoi? O è strategia? "Impossibile entrare nelle loro teste", risponde la giornalista russa. "Ma quel che sappiamo per certo" aggiunge "è che hanno qualcosa da perdere: negli ultimi sedici anni Putin e i suoi hanno accumulato una ricchezza immensa, e l'unico modo che hanno per difenderla è rimanere al potere. Vorrebbero rimanere al potere per sempre. Questa è la vera ragione della retorica della guerra e della situazione in Siria: Putin e sodali vogliono conservare il potere. Per sempre".

Quindi, i responsabili della politica di Mosca non vogliono Armageddon ma sono disposti ad arrivarci vicino, per motivi più personali che altro. E' soprattutto dal dispositivo russo in Siria che potrebbe scattare la scintilla che fa perdere il controllo della situazione. Il problema è che i russi, e probabilmente anche gli americani, "non sanno dove sono i paletti", come ci dice Fyodor Lukianov.

Il casus belli perfetto potrebbe esser fornito dai sistemi missilistici paradossalmente detti "di difesa" portati dai russi sul teatro del conflitto siriano. Servono a prevenire attacchi o bombardamenti statunitensi contro le truppe di Assad, e per impedire che gli Usa impongano una no flight zone. Un bel rischio, però. I missili potrebbero esser lanciati per sbaglio, e gli americani riterrebbero Mosca responsabile. A quel punto, è difficile prevedere cosa ne seguirebbe.

TEMPI NUOVI
Il settimanale che Yevgenia Albats dirige si chiama The New Times, ha una linea liberale e si oppone al governo evitando crociate e basandosi sui fatti. Stile anglosassone. Nell'ultima edizione la rivista spiega quel che sta succedendo tra Mosca e Washington: sulla copertina c'è un bottone rosso e il logo delle radiazioni, sotto il titolo "Il ricatto nucleare del Cremlino".

"Le armi nucleari sono l'unica leva che la Russia può utilizzare a suo vantaggio, e la utilizza come intimidazione nei confronti degli Stati Uniti e dell' Occidente", spiega tranquillamente il direttore. Alla Albats non manca proprio il coraggio.

Quando le chiesero se avesse paura di essere uccisa, dopo l'assassinio della sua amica Anna Politkovskaya - la giornalista ammazzata esattamente dieci anni fa dopo le sue circostanziate inchieste sui crimini nel conflitto ceceno - Yevgenia quasi si mise a ridere: dopo tutti questi anni di Urss, e di critiche a Putin? Ma di che volete che abbia più paura, disse.

Lasciamo Yevgenya Albats davanti al computer nella redazione del New Times, in un palazzone di uffici nel quartiere Mayakovskya nel centro di Mosca. E' notte fonda e c'è da chiudere un'edizione.