Il nostro Paese era al vertice delle classifiche una decina di anni ma poi è stato scavalcato. E mentre gli altri lavorano per fare avere al turista la consapevolezza di ciò che vede, noi siamo rimasti fermi

La Guida Blu, scrisse Roland Barthes in “Miti d’oggi” (1957), è riuscita a banalizzare persino l’Acropoli di Atene; gli fece eco Hans Magnus Enzensberger che, in “Una teoria del turismo” (1962) da una posizione radicale, sostenne che «la fiumana turistica è una sola grande corrente di fuga dalla realtà che la società sfrutta per riorganizzarci». È trascorso oltre mezzo secolo da quando scrissero questi eminenti scrittori, ma la distanza che li separa dal turismo di oggi è siderale.

Nel 1845 Thomas Cook fondò l’agenzia di viaggi che nel giro di tre decenni conquistò l’Europa: nacque così l’industria del turismo fondata sullo standard, il montaggio e la produzione in serie ed essa fu il più vistoso sintomo della prosperità di una parte sempre più ampia della popolazione mondiale. La vacanza per fuggire il mondo delle merci, dell’industria, dell’urbanesimo è diventata essa stessa una merce in esponenziale crescita. La Francia è stato il primo paese a capirlo e dal 2013, con 83 milioni di turisti l’anno, precede Stati Uniti, Spagna, Cina e Italia.

Eravamo all’apice di questa classifica solo una decina d’anni fa: responsabilità solo dell’Italia che dispone di bellezze naturali, città, musei, aree archeologiche non solo altamente competitive ma uniche al mondo. Risorse che avremmo il dovere di saper “vendere” in modo assai più saggio di quanto accada. Soprattutto in una congiuntura storica assolutamente propizia per il turismo mondiale. Già, perché è entrata sulla scena del turismo globale la Cina: un’accelerazione impressionante perché dal Grande Oriente nel 2014 sono partiti 120 milioni di cinesi e studi del “World & Travel Tourism Counicil” prevedono che entro quattro anni saranno 200 milioni. L’ha confermato l’inglese David Scowsill, presidente dell’associazione, ed Asia e Cina guideranno questa migrazione biblica.

L’esplosione dell’indotto
Le ragioni di questa crescita incontenibile sono il basso prezzo del petrolio, il conseguente ribasso dei costi aerei, e un sempre più diffuso benessere dei paesi dell’Asia e della Cina. Le stime dell’Organizzazione mondiale del Turismo associano l’impetuosa impennata anche a internet che rende tanto più semplice organizzare una vacanza: nel 1950 i turisti erano 22 milioni, oggi sono 1.130 milioni. Un’impennata i cui effetti economici sono stupefacenti, perché quello che si chiama “indotto” è esploso ovunque: nuove linee aeree, nuovi alberghi, servizi, sviluppo dei commerci.

Nel 1999 fu redatto il “Global Code for Ethics in Tourism” che detta linee guida per dar senso culturale e di confronto internazionale a questo tsunami del nostro tempo. Grazie a questa benefica onda le isole Maldive e Capoverde - per citare Taleb Rifai, giordano che dirige l’“Organizzazione mondiale del Turismo”, con sede a Madrid - sono uscite dall’area del sottosviluppo. Le grandi sventure che hanno colpito tanti paesi (oggi il Nepal), e persino l’11 settembre di New York - che paralizzò per circa dieci anni il turismo in Usa - sono eventi dimenticati. Rimane il fatto che tutti gli indici statistici volgono all’ottimismo.

«È la più grande industria “invisibile” che c’è al mondo», ha scritto Elisabeth Becker, giornalista, del “New York Times”, nel libro “Overbooked: The Exploding Business of Travel and Tourism” (2013) che la nostra editoria (bulimica traduttrice di testi spesso inservibili) ha ignorato: come diceva Moretti, «facciamoci del male…». Dal volume si traggono non solo preziosi dati, ma una serie d’indicazioni perché questa marea montante del turismo si trasformi in un’opportunità, per rendere più vicini quelli che si conoscono e avvicinare quelli che sono lontani tra loro per motivi razziali, religiosi, economici e politici. Per tale motivo l’autrice americana giudica - in senso generale - del tutto sottovaluto l’effetto Business in buona parte del mondo.

Miss Becker ha perfettamente ragione, e ha parole dure sulla pratica corrente del giornalismo americano che nasconde o adombra eventi spaventosi che mortificano la dignità di ogni uomo. Il pellegrinaggio alla Mecca è la più grande concentrazione di uomini al mondo che si replica ogni anno e ogni musulmano desidera per tutta la vita raggiungere questa meta. Così come sin dall’alto medioevo i pellegrini cristiani aspiravano a giungere a Gerusalemme e i “romei” a san Pietro. Queste masse sterminate oggi non hanno certo le intenzionalità millenaristiche di cristiani e musulmani che ci ha narrato in pagine bellissime Franco Cardini. Ma non tutti e non da ora sono oggi volti alla Cathedra Petri o a Maometto.

Bollenti spiriti
Almeno fin dal Seicento si viaggiava per l’Europa per ragione del sesso. Amsterdam, Parigi, Venezia, Roma, Napoli le mete più ambite. Ian Littlewood, uno studioso inglese anticonformista, preceduto dal suo connazionale Hellis Havelock (1906), ha scritto un libro, “Climi bollenti. Viaggi e sesso dai giorni del Grand Tour “ (2001), nel quale, partendo da James Boswell, giunge agli ultimi emuli di Paul Gauguin, ovverossia al turismo sessuale dei nostri giorni che dà titolo all’ultimo capitolo, “Il trionfo dei sensi”.

Perché, non nascondiamolo per pruderie, in quei milioni che si muovono alla ricerca di Pompei o di templi Indù, per alcuni, soprattutto in Asia, la molla è costituita dal sesso, con prede disponibili per pochi dollari di ogni età e di ogni colore. Le organizzazioni che ho ricordato non forniscono dati al riguardo: ma, considerata la parola “Ethics”, dovrebbero estendere le indagini a questo tema scabroso.

Se ci si accosta al nostro paese non c’è da stare allegri: siamo un popolo di “poeti, santi e navigatori”, ma ci sono argomenti che ci fanno arrossire come italiani. Nel 2014 i primi cento musei nel mondo hanno accolto 182 milioni di visitatori: il Louvre superstar con 9.260 milioni, batte di circa 3 milioni il British Museum di Londra che ne piazza ben otto nei primi dieci. I Musei Vaticani sono al 5 posto e sfiorano i 6 milioni di visitatori, gli Uffizi si accostano ai 2 milioni, poi l’Italia scende rovinosamente nella classifica dei top 100. Il turismo italiano è in calo e sembra incredibile.

Perché questo accade lo sappiamo bene: gli italiani non hanno alcuna educazione storico-artistica perché possano accostarsi ai tesori che hanno sotto casa. Le annunciate riforme della scuola lasciano delusi se si guarda a questa “educazione civica” che dovrebbe cominciare dalla scuola primaria e concludersi nelle scuole superiori. In un mio libricino, “Perché la storia dell’arte” (Donzelli), ho provato a spiegare, temo inutilmente, cosa andrebbe fatto: dalla legge Gentile siamo stati i primi in Europa, e André Chastel ci prese a modello per il suo paese - gli impari eredi francesi continuano a pasticciare con conati di riforme che confondono l’insegnamento della storia dell’arte con l’educazione alle arti plastiche!

Il turismo internazionale è in ebollizione, ma è evidente la disparità tra un’élite di turisti mediamente colti e il turismo di massa: una forbice che si è allargata. Treno, auto, charter, nave non sono un veicoli “neutri” e la durata del viaggio non è solo una scansione temporale.

L’antropologo Lévi Strauss o la commessa della Standa hanno strumenti culturali diversi per leggere la foresta amazzonica, ma entrambi sono stati omologati dal charter e dal tempo impiegato per raggiungere quel luogo. La loro mentalità, il loro modo di percepire gli alberi o gli aborigeni sono simili: perché entrambi guardano la Tv. Il viaggio è stato per secoli un evento irripetibile nella vita di un uomo, un evento eroico a cui si dedicava una minuziosa preparazione che durava anni. Chi intraprendeva un viaggio lo faceva per formare la propria personalità, per educarsi alla scoperta dell’altro da sé.

L’Europa e l’Italia hanno una grande occasione storica: lanciare una campagna di educazione a scala globale che dia sostanza culturale ai 1.130 milioni di viaggiatori che girano ogni anno per il mondo: costoro non debbono distruggere la barriera corallina, né rubare pietre al Colosseo, né ridurre la laguna di Venezia ad una oleosa e maleodorante sputacchiera. Molti paesi come Francia, Stati Uniti e Spagna da anni si stanno organizzando per trasformare il turista in un “cittadino temporaneo”, che abbia cioè consapevolezza del luogo che visita. Una strategia di lunga durata se vogliamo salvare il salvabile a cui l’Italia dovrebbe attrezzarsi.