Negli ultimi giorni i miliziani del Califfato hanno messo in fuga anche le migliori truppe dei governi di Tripoli e Tobruk. Puntando a unire in un unico fronte le città conquistate sulla costa del Mediterraneo

Lo Stato Islamico sta vincendo. Non solo in Siria e in Iraq, ma anche in Libia. Mentre i media di tutto il mondo raccontano l'irresistibile avanzata che ha portato le truppe del Califfato a conquistare Palmira e Ramadi, due battaglie appena combattute testimoniano l'ascesa del Califfato sulle sponde del Mediterraneo. Negli ultimi giorni miliziani con la bandiera nera sono riusciti a trionfare su un doppio fronte, mettendo in fuga le migliori forze che fanno capo ai governi libici riconosciuti.

Nella città costale di Nufaliya, poco lontano da Sirte, i guerrieri dell'Is hanno messo in fuga la Brigata 166, una delle unità più potenti legate alle autorità di Tripoli. I soldati della Brigata 166, provenienti da Misurata, hanno lanciato un attacco, per cercare di penetrare nel centro urbano. Ma sono stati sconfitti e costretti alla ritirata. La propaganda del Califfato ha subito mostrato le immagini del successo, pubblicando sul Web le foto dei mezzi catturati durante gli scontri. Una parata è stata organizzata a Sirte, la capitale di una delle enclave libiche dominate dallo Stato Islamico, per celebrare il successo. Molto significativo sul piano militare, tanto da spingere tutti i responsabili delle brigate di Misurata a radunarsi per proclamare un appello alla coesione di tutti i movimenti libici.

Ancora più gravi le notizie che arrivano da Leithi, un quartiere di Bengasi. Lì è stato respinto un assalto delle Forze Speciali Saiqa. Si tratta di un reparto di commandos creato ai tempi di Gheddafi e oggi schierato con l'Esercito nazionale del generale Haftar: il braccio armato del governo di Tobruk, sostenuto dall'Egitto e principale interlocutore dell'Occidente. L'offensiva è stata lanciata con il sostegno di caccia Mig, che hanno compiuto diversi bombardamenti. Ma i miliziani sono riusciti a tenere le posizioni, uccidendo nove soldati e ferendone altri 35: le perdite più gravi sostenute in un solo giorno dall'Esercito nazionale. Non solo. È stato scatenato un contrattacco in un distretto confinante, provocando altre vittime. Una disfatta senza precedenti per quelle che vengono ritenute le migliori truppe presenti in Libia, con ufficiali addestrati anche in Europa.

Finora la resistenza nella periferia di Bengasi era nelle mani di Ansar Al-Sharia, un'organizzazione fondamentalista legata ad Al Qaeda. Ma i rapporti raccolti dal “Libya Herald” – una testata online indipendente che fornisce ottimi resoconti della situazione nel paese – adesso indicano che a comandare è lo Stato Islamico, che avrebbe ottenuto l'affiliazione dei comandanti locali e schierato in prima linea volontari provenienti da tutto il Nord Africa.

Al di fuori della pletora di formazioni che alimentano la guerra civile libica, c'è un dato che emerge con agghiacciante chiarezza: la potenza del Califfato sta crescendo in tutto il golfo della Sirte. E nelle capitali arabe aumenta la preoccupazione per questa espansione. Molti analisti sono convinti che proprio in Libia si stia concentrando lo sforzo dell'Is. Il paese offre le condizioni ideali per una nuova espansione, come accaduto in Iraq un anno fa: non c'è una forte autorità governativa e parte della popolazione, logorata da tre anni di combattimenti e di caos, accoglie volentieri la legge coranica che riporta l'ordine. Così alcune delle brigate islamiche autonome hanno scelto di affiliarsi al movimento di Al Baghdadi. E ora – stando all'allarme del Pentagono rilanciato dal “Wall Street Journal” - questi gruppi stanno cominciando a venire coordinati dal vertice dello Stato Islamico, che indirizza verso il Mediterraneo armi e veterani provenienti dalle roccaforti siriane e irachene. Uno scenario confermato a “la Stampa” da Abou Zalah, responsabile dei «Serragli della resistenza» di Beirut, ossia l’intelligence dei potenti Hezbollah libanesi: «La Libia è una ramificazione del grande piano dell’Isis che muove i suoi passi tra Siria e Iraq».

Creare un avamposto stabile sulle coste libiche offre al Califfo la possibilità di raccogliere uomini da tutti i movimenti armati del Maghreb e dell'Africa: nessuno può controllare il deserto. E da questa base poi passare all'offensiva verso l'Italia e l'Europa.

Le cronache delle ultime settimane segnalano l'aumento dei miliziani schierati sotto la bandiera nera, con un numero crescente di stranieri. E una linea d'azione strategica: unire i centri già conquistati in Cirenaica occupando tutti i paesi lungo la strada costiera tra Sirte e Derna, la capitale libica dell'Is. Per questo dopo avere conquistato Nufaliya adesso puntano su Harawa. La scorsa settimana il primo assalto è stato respinto dagli abitanti locali, che si sono barricati nelle case e hanno fatto fuoco con i kalashnikov. Poi sono intervenute da Misurata le truppe della Brigata 166 che hanno tentato una controffensiva, subendo invece una dura conquista: l'Is sarebbe riuscita persino a espugnare la base locale della Brigata. E questa mattina con un raid i seguaci del Califfo nero hanno raso al suolo i due fortini che controllano l'accesso alla città di Agedabia, lungo la stressa strada.

Stando ai racconti degli abitanti, i fondamentalisti non impongono la legge coranica con le armi. Ma creano un clima di terrore, alternato a esibizioni di potenza come le parate dei mezzi presi agli avversari, spesso mostrando le teste decapitate dei nemici catturati. Ci sono cronache continue di sequestri e intimidazioni ai danni dei leader delle comunità locali. Che si sentono abbandonati al loro destino. «Abbiamo visto in televisione che l'Europa vuole bloccare i migranti diretti in Italia attaccando le barche, ma cosa fanno per i libici che soffrono sotto lo Stato Islamico?»  ha dichiarato uno dei residenti di Nufaliya raggiunto al telefono dalla testata online World Affairs: «L'Ue si preoccupa solo dell'Europa, non di noi».