Con un falso tesserino da avvocato è entrato nel palazzo con una pistola per farsi giustizia da solo. Ha ucciso tre uomini, fra i quali il giudice fallimentare Ferdinando Ciampi. Poi la fuga fino all'arresto a Vimercate

Claudio Giardiello, classe 1958, in un giorno di ordinaria follia decide di farsi giustizia da solo nell'affollata aula 2 penale del Tribunale di Milano, terzo piano del grande palazzo di Porta Vittoria.
Vuole pareggiare i conti con chi lo sta giudicando, perché fuori dai suoi pensieri contorti è lui l'imputato. Sono le sue condotte quelle da passare al vaglio, da soppesare per comprenderne l'eventuale dolo.

Bancarotta fraudolenta, questa è l'accusa che segue il fallimento dell'Immobiliare Magenta nel quale è rimasto invischiato. Lui, però, la sentenza non la vuole ascoltare: probabilmente crede che qualcuno lo giudicherà “malamente”, come forse avrebbero commentato a Benevento, città dov'era nato 57 anni fa. Non se lo merita e dall'ultimo banco dell'aula dov'è seduto esplode quattro colpi che lasciano a terra il suo ex avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani, che in quel momento era seduto davanti alla corte come teste, e feriscono i suoi coimputati Davide Limongelli e Giorgio Erba. Quest'ultimo morirà da lì a poco.
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Fuori da quella stanza si sentono quattro colpi di arma da fuoco che rimbombano fragorosamente a causa degli smisurati volumi di quelle aule, dei corridoi circostanti e del grande atrio su cui si affaccia l'aula. Il primo non dà l'idea di uno sparo: impossibile pensarci, sembra più un faldone che rimbomba per la caduta a terra, ma gli altri colpi congelano tutti coloro che erano nel piano in quel momento, come in una sorta di presa di coscienza collettiva ed è una corsa a nascondersi. Qualche giudice decide di barricare le aule adiacenti, nel pensiero che non fosse finita lì.

Era nervoso Giardiello, prima di sparare aveva litigato con il suo attuale difensore in aula. Aveva anche rinunciato alla facoltà di sottoporsi a un interrogatorio, come prevede il codice di procedura penale per gli imputati. Divergenze sulla strategia di difesa, ma non si trattava di cose importanti nella sua testa, perché aveva già deciso di pareggiare i conti da solo. Dopo aver sparato è sceso di un piano per colpire anche il giudice Fedinando Ciampi, delegato della sezione fallimentare ad occuparsi di quella procedura concorsuale. Fatta la sua giustizia, è uscito dal tribunale. E' stato bloccato a Vimercate dopo circa un'ora e mezza nella quale dev'essergli passata tutta la sua esistenza davanti agli occhi. O forse no. Forse il delirio di onnipotenza che lo ha inebriato, selezionando gli eventi di quella mattinata, della fine della sua immobiliare. "Volevo vendicarmi" ha detto ai carabinieri che lo hanno bloccato.

Fuori dalla sua testa, fuori da quell'aula, lontano da quella scalinata percorsa in fretta per raggiungere e freddare il “suo” giudice fallimentare, resta la cronaca. Dove, a mente fredda, si snocciolano le falle di sicurezza che hanno permesso a un imputato di entrare indisturbato con una pistola dall'ingresso dedicato ai magistrati, agli avvocati e agli amministrativi cui basta mostrare il tesserino per entrare. Lo aveva anche Giardiello, contraffatto, ma nel viavai solito del Palazzo nessuno della vigilanza si era soffermato a controllare. Entrano ed escono centinaia di avvocati al giorno, forse migliaia. Ci si fida anche se quella faccia non nota. Lui di questo era pienamente conscio, dato che aveva scelto per entrare proprio l'ingresso senza metal detector.

Nel Palazzaccio si è assistito a una caccia all'uomo mai vista prima, che ha impegnato decine di agenti tra polizia, carabinieri, agenti della giudiziaria, dei servizi speciali. Una caccia infruttuosa: nonostante il dispiegamento delle forze dell'ordine l'uomo è riuscito ad uscire indisturbato, salire sul suo scooter e passare anche i confini della provincia di Milano.

In quell'aula, a sostenere le ragioni dell'accusa, c'era il pubblico ministero Luigi Orsi, scampato alla carneficina insieme agli altri fortunati presenti. Non era il giudice inquirente che aveva chiesto il rinvio a giudizio di Giardiello e degli altri cinque suoi coimputati, e forse non era neanche il bersaglio. Così come forse non lo era il collegio giudicante, presieduto dalla giudice Teresa Ferrari da Passano. Ma questo lo si saprà solo quando le indagini della procura di Brescia, competente in questo caso, avranno ricostruito la balistica degli spari e le intenzioni dell'omicida.

La giornata di ordinaria follia si è chiusa con una manifestazione spontanea di magistrati e avvocati che ha riempito l'aula magna del tribunale. Prima era venuto a far visita il ministro della Giustizia Andrea Orlando, e ha chiuso l'assise il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, avvocato anch'esso e per decenni frequentatore di quelle aule. Non sono mancate le polemiche, con l'attacco dell'associazione nazionale magistrati a chi li definisce “fannulloni”, contribuendo a inasprire il clima già teso tra magistratura e governo per la questione della responsabilità civile. L'ex procuratore aggiunto Nicola Cerrato, che ha ricordato la figura di Ciampi, ha chiesto invece a gran forza di silenziare le polemiche, almeno nel giorno di questo incredibile dolore.