L'esordio dell'inviato Onu Martin Kobler ha rianimato le trattative, con una serie di azioni e reazioni che potrebbero paradossalmente sfociare in un compromesso: inventare un governo unitario che riunisca Tobruk e Tripoli

C'è un vento che soffia da sud-ovest fino a Palazzo Chigi, una brezza di mare simile al Libeccio, perché arriva dritta dritta dalle coste della Libia. A leggere le notizie, il paese sprofonda ogni giorno di più nel caos. Ma nelle segrete stanze del potere italiano invece si comincia a respirare un clima di ottimismo e la convinzione – o la speranza – che si sia vicini a una soluzione. Tanto da spingere Matteo Renzi a parlare di un evento da tenere ?a Roma «pari a quello che i colloqui di Vienna sono per la Siria».

Gli incontri con le parti in causa si moltiplicano, con mediatori vecchi e nuovi, e un frenetico via vai tra l’aeroporto di Ciampino e le capitali libiche. L’esordio dell’inviato Onu Martin Kobler, che ha rimpiazzato quel Bernardino Leon delegittimato dalle notizie ?su accordi paralleli con le potenze interessate, sembra avere rianimato le trattative. Con una serie di azioni e reazioni in apparenza contrastanti ma che potrebbero paradossalmente sfociare in un compromesso. A Tunisi, ad esempio, per la prima volta si sono riuniti 27 rappresentanti dei due parlamenti rivali di Tobruk e Tripoli. Il meeting è nato per bocciare l’accordo Leon ma ne è scaturita la spinta verso un dialogo diretto tra i leader delle due compagini. Che può innescare una strada alternativa verso? lo stesso obiettivo: inventare un governo unitario capace di riunire la maggioranza delle entità politiche, tribali e militari libiche.

?Le ambizioni sembrano ridotte rispetto alla compagine varata a ottobre con la benedizione dell’Onu e subito arenata. Alcuni nomi potrebbero cambiare, di sicuro le prerogative iniziali dell’esecutivo sarebbero ridimensionate: una sorta di minimo comune denominatore, che non pretende di controllare tutto e subito, ?ma che rappresenterebbe comunque la base di partenza per la pacificazione. Segnando un punto importante per Palazzo Chigi.

Matteo Renzi è stato chiaro con il presidente Hollande e con tutti gli alleati: «La Libia è prioritaria per noi». E adesso deve dimostrarsi in grado di concretizzare quest’affermazione. Se ci riuscisse, sarebbe un contributo alla lotta contro lo Stato islamico superiore a qualunque raid di bombardieri. L’impresa non è facile. Gli sforzi vengono coordinati con Kobler, impegnato in un tour de force e che lunedì 30 novembre al Cairo si è detto fiducioso: «Credo che con l’inizio del prossimo anno assisteremo alla nascita del governo nazionale di intesa sulla base delle discussioni fra le parti».

Al fianco di Kobler c’è il generale Paolo Serra, il consigliere ?per la sicurezza nominato dal Palazzo di Vetro. Ma diplomazia e intelligence italiana stanno facendo di tutto per sostenere lo sprint dell’Onu, senza dimenticare il ruolo dell’Eni, più volte evocato in queste settimane. Se il dinamismo del Califfato preoccupa i Paesi dell’area, a partire da Egitto e Algeria, in cima ai pensieri delle fazioni ci sono i proventi dell’oro nero, l’unica risorsa che manda avanti il Paese. A gestirli provvedono l’ente petrolifero statale ?e la banca centrale, le due istituzioni nazionali sopravvissute ?nel marasma, che garantiscono gli stipendi a una moltitudine ?di dipendenti statali e i servizi pubblici fondamentali in tutto il territorio, ufficialmente senza fare distinzioni tra chi è al comando.

Ma le esportazioni diminuiscono continuamente e a controllare il rubinetto dei pozzi c’è Ibrahim Jadran con la sua brigata personale di “guardie petrolifere”: 17mila soldati ben equipaggiati. Oggi le altre milizie contrapposte, che siano di Misurata o di Zintan, temono tutte di restare a secco. E l’inquadramento in un esercito unitario, dalla vocazione tribale, permetterebbe a capi ?e miliziani di conservare un reddito certo.

Gli irriducibili fondamentalisti di Tripoli, invece, hanno paura del richiamo ?del Califfato, che lentamente gli sottrae combattenti e sostegno. Resta il problema del generale Haftar, con la sua armata schierata al servizio dell’autorità di Tobruk ma di fatto autonoma. I suoi sponsor egiziani però cominciano a diffidare delle sue capacità ?e potrebbero mollarlo. Sta quindi a Roma adesso costruire il consenso intorno a Kobler. Puntando a chiudere entro gennaio.

Come ha sottolineato il ministro della Difesa Roberta Pinotti: «Il rischio di una ulteriore infiltrazione di terroristi in Libia ci preoccupa moltissimo, e vorremmo che i tempi per il raggiungimento di un accordo fra gli attori locali siano i più brevi, per consentirci ?di attivare quelle misure di assistenza necessarie per la stabilizzazione del Paese e il ripristino del controllo del territorio ?da parte di una legittima autorità». E ha aggiunto: «Noi siamo pronti, ma sono ora i libici che devono realmente comprendere quanto urgente sia il trovare una soluzione, politica ed equilibrata, per avviare la riconciliazione. Il terrorismo di Daesh è una minaccia seria per noi, ma è una minaccia gravissima anzitutto per loro».

Il generale Claudio Graziano, comandante delle forze armate, ?ha presentato il «modello a triangolo» per una eventuale azione ?dei nostri militari. Al primo posto la stabilizzazione del Paese ?e il monitoraggio del cessate il fuoco. Poi il contrasto ai trafficanti di uomini, nel Mediterraneo e sulle frontiere africane. Infine l’operazione contro i capisaldi dei terroristi. Con un presupposto chiaro: «Un approccio basato sul principio del “Libya first”, ossia ?il riconoscimento della esclusiva titolarità delle autorità libiche nei processi di decisione e il carattere esclusivamente sussidiario dell’intervento della comunità internazionale».