Meno della metà degli irregolari individuati in Italia viene espulso. Perché i viaggi costano troppo. E quando vengono imposti, lo sono spesso senza la dovuta attenzione. Come denuncia un avvocato su un caso a Fiumicino
Anche quando le domande di asilo vengono bocciate, raramente si procede all’espulsione. Nel 2013, su 30mila stranieri trovati in “posizione irregolare” sul territorio nazionale o alle frontiere, 13.500 sono rimasti in Italia. Un’altra grande zona grigia. Legata anche al crollo dei rimpatri, scesi nello stesso anno a 8.770 rispetto agli oltre 30mila del 2005. Nel 2014 le partenze obbligate sono state ancora di meno, anche se mancano dati ufficiali.
Ci sono due problemi irrisolti: il costo altissimo dei trasferimenti, in aereo e su navi con forti contingenti di scorta. E soprattutto l’assenza di Paesi disposti ad accettare il ritorno dei connazionali. In pratica, si riesce solo ad operare con la Tunisia e in parte con l’Egitto. Così
nei primi sei mesi 762 tunisini sono stati mandati via dalla Sicilia con voli e traghetti. Mentre altre
tremila persone appena giunte all’aeroporto sono state costrette a tornare indietro.
Provvedimenti spesso ordinati con metodi sbrigativi, senza neppure valutare le situazioni personali. «Senza che la loro storia venga ascoltata»,
denuncia Salvatore Fachile, avvocato dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione: «Un giorno ero a
Fiumicino con un rifugiato siriano, che aspettava la sorella. L’hanno respinta senza prendere in considerazione la sua condizione di profuga di guerra. È stata subito rimessa su un volo per la Turchia». Fachile ha seguito anche la causa di diversi nigeriani, a cui era stato dato un foglio di via al momento dello sbarco. Segregati in un Cie, hanno potuto fare ricorso. Che è stato accolto dal tribunale della libertà: i giudici hanno ritenuto immorale rimandare un uomo in un paese a rischio come la
Nigeria.