Non c'è motivo di ritenere che l'aumento della disoccupazione sia strutturale. Ma i nuovi posti saranno meno qualificati

Gli americani non sono abituati a una disoccupazione alta. A tre anni dall'inizio della ripresa, più dell'8 per cento della forza lavoro non ha un impiego e ciò sta suscitando negli Stati Uniti la preoccupazione che la contrazione della domanda di manodopera stia diventando permanente. La storia suggerisce tuttavia che questi timori sono infondati. Sono invece la disuguaglianza nei redditi e il crescente divario salariale tra lavoratori qualificati e non a rappresentare una sfida enorme.

IL SETTORE AGRICOLO statunitense è un esempio interessante. Nel 1870 impiegava 6 milioni di lavoratori che oggi non superano i 2,2 milioni. Eppure, questo ridotto numero di operai agricoli produce derrate alimentari sufficienti per nutrire una popolazione allargatasi di otto volte e per esportare oltre il 20 per cento della produzione. La spiegazione è che la loro produttività è aumentata di 25 volte. Analogamente, nel 1950, l'industria manifatturiera americana impiegava 14,6 milioni di lavoratori, ridottisi oggi a 11,7 milioni, la cui produzione è, ciononostante, triplicata. Trend simili si registrano in tutto il mondo: i posti di lavoro nel manifatturiero, per esempio, si sono ridotti negli ultimi anni persino in Cina.

La grande distruzione di posti di lavoro non si limita tuttavia all'agricoltura e all'industria manifatturiera. L'introduzione dei terminali bancomat e delle macchine per la vendita al dettaglio stanno provocando probabilmente lo stesso effetto per gli impiegati di sportello e per i commessi che i robot hanno avuto per i lavoratori dell'industria automobilistica o che i macchinari per il raccolto hanno avuto per i lavoratori agricoli. Gli americani temono che l'incremento della capacità dell'Information Technology di sostituire una serie di lavori del settore dei servizi, o di delocalizzarli verso paesi dove il costo del lavoro è inferiore, non possa essere arrestata.

TUTTAVIA, MENTRE LA DISTRUZIONE di posti di lavoro continua, l'occupazione totale negli Stati Uniti è cresciuta rapidamente. Rispetto al numero di americani occupati del 1950, oggi ne lavora più del doppio e, persino nel periodo degli ultimi vent'anni, che include la Grande Recessione e durante il quale si è diffuso largamente l'uso dei personal computer e di Internet, l'occupazione è cresciuta a un ritmo sostenuto. L'espansione di settori ad alta intensità di manodopera come la sanità, l'istruzione, la Pubblica amministrazione, lo spettacolo, la ristorazione e il settore viaggi potrebbero compensare la distruzione di posti di lavoro con un ampio margine. I bisogni di una popolazione in continua crescita e le minori ore lavorate settimanalmente contribuiscono all'espansione dell'occupazione nonostante siano stati cancellate decine di migliaia di milioni di posti di lavoro. In Europa si assiste a trend analoghi, anche se le normative restrittive sul licenziamento tendono a scoraggiare la creazione di nuovi posti di lavoro e a generare una disoccupazione strutturale più alta di quella degli Stati Uniti.

LA RIPRESA DELL'OCCUPAZIONE successiva alla Grande Recessione è stata finora posticipata dalla necessità di smaltire un eccesso di costruzioni, di abbassare il livello dell'indebitamento delle famiglie e di sanare il sistema bancario, ma in un'economia flessibile come quella degli Stati Uniti le prove di una stagnazione a lungo termine dell'occupazione non ci sono o sono trascurabili. Molto più preoccupante è invece la qualità di nuovi posti di lavoro che sono creati in confronto a quelli distrutti e il conseguente innalzamento delle disuguaglianze. Se da una parte il reddito medio statunitense è cresciuto dal 1980 di più del 50 per cento, il salario reale medio di un maschio è diminuito.

Questi trend riflettono principalmente le innovazioni tecnologiche che hanno beneficiato maggiormente i lavoratori più qualificati. Un ruolo lo hanno avuto tuttavia anche l'intensificazione della concorrenza con l'estero, perché ha spinto le aziende americane ad adottare tecnologie che permettono di risparmiare manodopera, e i cambiamenti nelle normative fiscali sul reddito, che hanno favorito i più ricchi. L'incapacità di rispondere alla crescente domanda di lavoratori qualificati e del conseguente innalzamento delle disuguaglianze dipende dai sempre minori investimenti nell'istruzione. Le disuguaglianze crescenti sono un fenomeno globale, anche se più pronunciato negli Stati Uniti. La risposta non è fermare la tecnologia o il commercio, i motori della prosperità, ma fare in modo che i ricchi paghino una quota equa di tasse e dotare i lavoratori delle qualifiche necessarie nel XXI secolo.