Per il successo delle riforme la voce di chi ne trae beneficio deve levarsi più alta di quella degli interessi colpiti

Ora che affrontano la crisi economica più pericolosa che li abbia mai investiti, gli italiani hanno paura del loro futuro e di quello dei loro figli. Come dovrà cambiare l'Italia per vincere questa paura che paralizza l'attività economica?

Sulla base dell'esperienza accumulata finora da altri paesi in crisi, i timori degli italiani sono giustificati dalla realtà. La disoccupazione in Italia è aumentata del 40 per cento da quando è scoppiata la crisi, ma in Grecia, Irlanda e Spagna - dove il processo di risanamento è tutt'altro che concluso - il tasso di disoccupazione è già raddoppiato o triplicato. La domanda interna in Italia è scesa del 5 per cento rispetto al suo massimo storico, toccato nel 2007, ma negli altri paesi in crisi è precipitata del 10-25 per cento.

Come spiegare queste discrepanze? Nessuno lo sa con precisione. L'Italia ha un deficit fiscale inferiore, è vero, e le sue banche sono in condizioni migliori rispetto a quelle di qualsiasi altro paese in seri guai, ma l'indebitamento italiano è alto, la Penisola ha perduto competitività e capacità di crescere e inoltre è in una fase ancora molto iniziale dell'indispensabile risanamento. Per questo l'Europa deve dare il proprio aiuto all'Italia che, malgrado ciò, dovrà affrontare grandi cambiamenti. Presumendo che tutto vada come dovrebbe, l'attendono due o tre anni difficili in ogni caso. La domanda cruciale, a questo punto, è in che modo mitigare l'impatto e la durata degli inevitabili sacrifici.

Tutti sanno che l'Italia deve rimettere in sesto il proprio bilancio pubblico e far ripartire la crescita. Raggiungere il primo obiettivo è difficile, ma raggiungere il secondo in piena austerità e senza la possibilità di una svalutazione è ancora più difficile. In realtà, non si tratta di qualcosa che si possa ottenere in tempi rapidi e quest'anno una recessione pare inevitabile. In ogni caso, avendo tempo, si potrebbe dare nuovo slancio alla produttività, destinare le risorse investite in un settore pubblico atrofizzato al settore privato e passare quelle allocate negli agonizzanti settori protetti dalla concorrenza internazionale (per esempio quello dei servizi e dell'immobiliare) ai settori che ad essa sono esposti, soprattutto quelli proiettati verso fonti più dinamiche della domanda, in primo luogo i mercati emergenti. Di conseguenza, l'Italia deve aumentare considerevolmente i propri investimenti nei macchinari e negli impianti produttivi, nel turismo, nel design, in altri servizi esportabili, nel settore della preparazione degli alimenti e dell'agricoltura. In buona parte, la differenza tra la dinamica Germania e la stagnante Italia è che dal 2000 a oggi la prima ha aumentato le esportazioni di 17 punti percentuali rispetto al Pil contro un aumento delle esportazioni italiane di soli 2 punti percentuali rispetto al Pil.

Come garantire che questi cambiamenti così necessari si verifichino quanto più rapidamente possibile e in modo tale da contenere al massimo i sacrifici? L'esperienza accumulata nei paesi avanzati e in quelli in via di sviluppo permette di dedurre le seguenti quattro lezioni:

1. Il risanamento fiscale è meno controproducente per la crescita quando si affida ai tagli alla spesa e all'eliminazione degli sprechi più che all'aumento delle tasse che riduce gli incentivi di tutti a investire e a produrre.

2. I contribuenti devono sostenere l'onere del cambiamento in modo uniforme, quindi occorre perseguire con tenacia l'evasione fiscale e al contempo tutelare i poveri.

3. I datori di lavoro nei settori in declino devono essere aiutati a rimpicciolirsi, mentre il timore di doversi tenere i lavoratori che eventualmente assumeranno non dovrebbe dissuadere dalla possibilità di investire quelli dei settori in espansione. L'onere del risanamento non dovrebbe ricadere in modo sproporzionato sui lavoratori giovani o più anziani, o su quelli che hanno contratti di lavoro temporanei o precari. Stipendi sobri e orari di lavoro ridotti aumenteranno le probabilità che i lavoratori continuino a essere occupati.

4. Le aziende devono poter competere tra loro, in modo che i prezzi che i cittadini sono obbligati a pagare scendano: la caduta negli standard di vita sarebbe attutita e la competitività internazionale avrebbe maggiore importanza.

C'è un collegamento trasversale a tutte queste lezioni: tutte comportano riforme che siano intrinsecamente eque ovvero che favoriscano la popolazione invece di gruppi particolari. Proprio per queste ragioni, l'opposizione alle riforme è già notevole e lo sarà ancor più da parte di agenzie governative di ogni specie, aziende, sindacati, associazioni professionali aventi interessi speciali, che al momento traggono tutti beneficio dall'attuale sistema, ingiusto e per nulla competitivo. Pertanto, mentre questi aggiustamenti necessari si concretizzano, aspettiamoci di vedere il nuovo stimatissimo governo italiano tempestato da una crescente pioggia di critiche provenienti da più parti. E l'opposizione politica nel frattempo aspetterà la sua occasione.

In definitiva, il successo dell'Italia dipenderà dall'eventualità che i suoi cittadini - che sanno molto bene che non esiste alcuna seria alternativa alla rotta intrapresa - riescano a far sentire la propria voce. Saranno loro i veri piloti del cambiamento dell'Italia.
traduzione di Anna Bissanti