Scrittrice, poetessa, blogger, giornalista. Ricca, bella e nipote di Benazir Bhutto. Così, a 29 anni, questa 'immigrata' è diventata la ragazza più ambita dai salotti di Londra

È bella come un'attrice. Questione di famiglia. Scrittrice, opinionista politica e poetessa, vive tra mondi lontani tra loro come Karachi e Londra, a suo agio in entrambi. Questione di famiglia. Ha solo 29 anni, ma alle spalle ha una storia piena di sangue e tragedie, che hanno sconvolto la sua vita, il suo paese - il Pakistan - il mondo. Questione di famiglia.

Si chiama Fatima Bhutto, e il suo nome è la sua storia. Destino, c'è da sperare di no. Bhutto come Benazir, sua zia: l'ex primo ministro pakistano ucciso durante una manifestazione politica nel 2007. Bhutto come Zulfikar Ali Bhutto, suo nonno, membro di una famiglia feudale di incredibile ricchezza ma di fede politica sorprendentemente di sinistra, leader del Pakistan tra il 1971 e il '77, poi deposto da un colpo di Stato del generale Zia e impiccato nel '79. Negli anni successivi, tre dei suoi quattro figli morirono di morte violenta. Uno per ogni decennio: il giovane Shahnawaz nel 1985, avvelenato in Francia; Mir Murtaza, il padre di Fatima, nel 1996, ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia pakistana; la figlia più grande, Benazir appunto, morta in un attentato a Rawalpindi nel dicembre del 2007.

Ogni articolo su Fatima Bhutto ripercorre la storia della sua famiglia, e non potrebbe essere altrimenti. Li hanno chiamati i Kennedy del Pakistan, ma anche i Borgia di Larkana. Una dinastia, come sempre in Asia, e come sempre in Asia è dalle dinastie che nascono le donne di potere. Eppure la frase che lei dice più spesso è "No alle dinastie". "Il Pakistan deve scegliere tra democrazia e dinastia", ripete ogni volta che la intervistano o quando scrive per "Huffington Post", "New Statesman", "Daily Beast", "The Guardian", oppure per "Jang", il maggior quotidiano in lingua urdu del Pakistan. Lo scrive più volte anche nel suo ultimo libro, "Canzoni di sangue. Ricordi di una figlia", pubblicato da poco in Italia da Garzanti. Un libro ispirato da una frase di Milan Kundera, "La lotta dei popoli contro il potere è la lotta della memoria contro la dimenticanza", e infatti è un viaggio nei ricordi. Un libro che le serve a ripercorrere la storia della famiglia e soprattutto dare la sua versione della morte del padre: ucciso, secondo Fatima, per volere di Asif Ali Zardari, suo zio, attuale presidente del Pakistan noto anche come "Mister 10 per cento" per le tangenti che avrebbe preteso dagli uomini in affari con la moglie, Benazir. Che all'epoca dell'assassinio del fratello, nel settembre '96, era al governo. Dunque, per la scrittrice, non poteva non sapere.

Fatima Bhutto è un personaggio complesso. Fatta di potenti contrasti, e per questo affascinante. È l'analista che all'indomani dell'eliminazione di Osama Bin Laden commenta, sul "Daily Beast": "Non mi sorprende che il governo pakistano proclami di non sapere nulla dell'uccisione: sembra non sappia mai nulla di quello che succede nel Paese". E' una giovane donna sensuale che veste Paul Smith, Marni, Martin Margiela, Giorgio Armani: una gazzella flessuosa dallo sguardo intenso, di una bellezza aristocratica.  La stessa di Benazir, la stessa della nonna Nusrat, iraniana. Le vecchie foto dei Bhutto ritraggono una dinastia di uomini e donne belli, eleganti, cosmopoliti, abituati a frequentare l'élite internazionale da Kennedy a Indira Gandhi a Zhou Enlai. Educati ad Harvard, le vite tra Larkana, gli Stati Uniti, Shanghai, Kabul.

A Kabul lei ci è nata, il padre era in esilio in Afghanistan negli anni del generale Zia. L'infanzia la passa in Siria, ma studia alla Columbia University di New York e alla Scuola di Studi Orientali ed Africani a Londra. Poi però torna a vivere nella casa di famiglia, al 70 di Clifton Road, Karachi. Un mix continuo di Est e Ovest, passato tragico e presente glamorous, interventi nei think tank internazionali e servizi fotografici col tacco 12. Sul "Financial Times" scrive un pezzo dall'India e racconta con humour che in un panel di "India Today" l'hanno infilata nella discussione "Burka versus Bikini": "Temo di essere stata scelta per la squadra del burka: da pakistana mi prendono sempre per fondamentalista". Una cartella dopo, raccomanda i lavori di Omar Barghouti, attivista palestinese, e "L'oblio che saremo", del colombiano Héctor Abad.

Contrastanti sono anche le reazioni che suscita. Emotive: divise tra l'ammirazione incondizionata di chi non riesce a sottrarsi al fascino di una giovane donna che somma in sé troppi opposti per non incantare, e il fastidio di chi, come Max Hastings del "Sunday Times", la trova ingenua nelle convinzioni politiche e inaffidabile nella ricostruzione dei fatti.

È per quello che la infastidisce il gossip secondo cui George Clooney si sarebbe preso una sbandata per lei: teme le tolga autorevolezza. Su Facebook è inutile cercarla: "Non ne faccio e non ne farò mai parte". Invece ha un sito (fatimabhutto.com.pk), dove tra l'altro segnala i suoi punti di riferimento: "Brightwide", dedicato al cinema sociale, e "The Caravan Magazine", rivista di politica e cultura. Impegnata? Sì, ma scrive anche articoli sullo streed food di Karachi per "Australian Gourmet Traveller", e racconta i profumi di pakora e kebab. Lei però è vegan, e durante un'intervista ordina cioccolata senza latte. A Milano presenta il suo libro nella boutique di Roger Vivier, e ad applaudirla sono tra gli altri Francesca Tronchetti Provera e Margherita Missoni: ma parte dei soldi raccolti andranno al Medical Experts on the frontline, che intervengono in zone toccate da calamità naturali. Non è ancora facile, chiamarsi Bhutto.