Hong Kong, Singapore, Seul. Ma anche gli Emirati Arabi. Sono i luoghi dove, per guadagnare, si investe sulle arti. E a costruire teatri e musei vengono chiamati gli architetti più famosi

Ci sono voluti 13 anni di dibattito pubblico, centinaia di presentazioni e di meeting, e un investimento da 2,8 miliardi di dollari. Ma è stato varato: il masterplan di WKCD, ovvero West Kowloon Cultural District, è stato affidato all'überstudio di architettura Foster + Partners. Che nell'arco dei prossimi 20 anni dovrà realizzare un progetto grandioso nel cuore di Hong Kong. Un City Park, quartiere urbano a emissioni zero affacciato sul waterfront, costellato di centri culturali iconici destinati a musica, arti visive, teatro, danza: 32 mila metri quadrati di "arts and cultural software", come dicono da Foster.

In pratica, 17 strutture dedicate, tra teatri, arene all'aperto, il nuovo M+ (Museum Plus, museo d'arte contemporanea che secondo il governo cinese attrarrà due milioni di visitatori l'anno, come il Moma di New York), una Opera House, sale da concerto e per musica da camera, un Centro per le Arti e le Industrie Creative, il Knowledge Centre e lo Xiqu center, che dovrà sviluppare espressioni culturali locali. Più scuole d'arti varie, che attirino talenti e nuove comunità di artisti.

West Kowloon Cultural District è per molti la più grande operazione culturale contemporanea al mondo. Di sicuro una delle più ambiziose: perché la partita che Hong Kong si gioca è quella di cambiare pelle. Dimostrare che investendo (molti soldi, molti sforzi, molte intelligenze) in un progetto culturale straordinario, si può perfino cambiare la vocazione di una città. E il suo status. Riposizionarla sulle mappe del turismo internazionale (ma anche dell'economia), farla diventare un hub culturale globale, invece che meta per lo shopping o l'entertainment. Un magnete per viaggiatori sofisticati. Con WKCD, nei prossimi vent'anni Hong Kong punta a diventare un must, "la" destinazione culturale asiatica per eccellenza.

Non è la sola, a provarci. Sono sempre più numerose le città, soprattutto in paesi emergenti, che puntano a dotarsi di un hub artistico. L'idea è che per rendere appetibile una città - per chi ci vive e per chi ci viene da turista - sia indispensabile che sia culturalmente dinamica. E che la cultura sia un volano dell'economia e una scommessa sul futuro: ma occorrono idee, bravi architetti e immaginazione.

Nascono da questa visione operazioni come la Guangzhou Opera House, primo progetto di Zaha Hadid completato in Cina, a Canton. A Pechino, invece, è appena stato riaperto il National Museum of China, annunciato come il museo più grande del mondo dopo tre anni di lavori, e già si progettano tre grandi nuovi musei vicino al Bird's Nest, lo stadio delle Olimpiadi (disegnato peraltro dall'artista Ai Weiwei, ora oggetto delle persecuzioni da parte del regime). La Corea del Sud lavora invece al progetto di "Seoul Creative City" - portato avanti con il Creative Cities Network dell'Unesco che ha per scopo la cooperazione tra città di tutto il mondo e la condivisione dei loro asset culturali, per lo sviluppo di tutte - e gli alloca un investimento pari a 10 miliardi di dollari.

Non si tratta di costruire opere status symbol, ma di un investimento che renda. E ci vogliono piani lungimiranti, volontà politica e denaro per diventare un hub culturale. Per questo ci riescono bene città-Stato ricche come Singapore, oppure Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi. Il progetto "Renaissance City" (da 115 milioni di dollari singaporeani) è stato lanciato dal governo di Singapore dieci anni fa per avviare la trasformare della Città del Leone da centro della finanza internazionale in una capitale globale della creatività, sede di riferimento per imprese artistiche, culturali e dell'entertainment, e destinazione da turismo colto di fascia alta.

Obiettivo ambizioso: non solo perché dovrà archiviare il genius loci da Grande Fratello del mondo di Lee Kuan Yew (leader di un regime che controlla minuto per minuto la vita dei cittadini), ma perché richiede equilibrio tra obiettivi economici e quelli culturali; di importare talenti e competenze; di conciliare aspirazioni globali e istanze culturali locali.  Non semplice, ma il piano ha già portato alla nascita di straordinari musei come quello, per esempio, gioiello, delle Civiltà Asiatiche, o il Peranakan Museum dedicato alle culture autoctone. Nell'arco di due anni sarà inaugurata poi la nuova National Art Gallery negli antichi palazzi del Parlamento e della Corte Suprema: nel frattempo il Paese ha ospitato due Singapore Biennales e varato il progetto di Art Stage Singapore, "The art world's new destination", showcase internazionale di oltre 80 gallerie d'arte del mercato dell'Asia-Pacifico, occasione di incontro per artisti, collezionisti, istituzioni culturali, altre fiere, "ponte culturale tra Oriente e Occidente", come lo definisce Lorenzo Rudolf, direttore di Art Stage Singapore, già responsabile di Art Basel e inventore di Art Basel Miami Beach. La prossima edizione, a gennaio 2012, si terrà nell'iconico Marina Bay Sands Exhibition and Convention Centre disegnato dall'architetto israelo-americano Moshe Safdie (uno dei più immaginifici del mondo), monumento impressionante come pochi altri al mondo alle ambizioni e alle visioni di un governo.
Intanto nell'area, strappata al mare, è stato inaugurato a febbraio l'ArtScience Museum.

L'architetto Safdie lo ha pensato come un edificio dalla forma di fiore di loto: ogni petalo curvo ospita alcune delle 21 gallerie, ed è concepito per raccogliere l'acqua piovana, conservata nello stagno dove il fiore si appoggia e destinata a irrigare i giardini che circondano il museo, 4.650 metri quadrati dedicati a mostre d'arte e scienza, media e tecnologia, design e architettura, una esposizione permanente ("ArtScience, viaggio attraverso la creatività") che presenta oggetti simbolo dell'arte e della scienza, come la macchina per volare di Leonardo da Vinci.

Ma non c'è solo l'Asia in questa corsa all'oro, dove la pepita è il flusso di milioni di turisti e miliardi di dollari ed euro. Doha, nel Qatar, punta su tre grandi musei, il National Museum of Qatar disegnato da Jean Nouvel, il Mathaf, museo arabo di arte moderna, e quello di Arte Islamica disegnato dal leggendario I. M. Pei. Vale 27 miliardi di dollari l'hub della cultura che l'emirato di Abu Dhabi sta costruendo su Saadiyat Island, dove nei prossimi cinque anni lo skyline verrà trasformato da una serie impressionante di lavori di archistar, tra cui il Louvre Abu Dhabi ancora di Nouvel e il Guggenheim di Frank Gehry. L'obiettivo, qui, è anche ridefinire e riposizionare radicalmente l'Emirato agli occhi del mondo. Sfida a ripensare il Paese, da luogo dove certo le libertà individuali non sono favorite a laboratorio culturale globale. Scommessa vertiginosa: e il fatto che "l'Isola della Felicità" sia già stata messa sotto accusa da Human Rights Watch per le condizioni di vita dei lavoratori arrivati dal Sud-est asiatico per costruirla, e che 130 tra gli artisti che dovrebbero esporre nel nuovo Guggenheim ne abbiano annunciato il boicottaggio come pressione sui gestori per affrontare il problema, suscita molte riflessioni.

Ma il punto è anche, a quale pubblico mirano queste operazioni? A occidentali affamati di stimoli nuovi, o piuttosto al nascente enorme mercato di visitatori provenienti da Medio ed Estremo oriente? Ai cinesi, agli indiani, al bacino di milioni di asiatici "on the move", allo stesso mondo arabo in così rapida, violenta trasformazione? "The Future of a Promise", si chiamerà molto opportunamente un evento collaterale della 54ma Biennale di Venezia che inaugurerà il prossimo 2 giugno: per gli organizzatori è la più grande mostra di arte contemporanea pan-arabica mai presentata, esporrà opere di artisti dalla Tunisia all'Arabia Saudita, testimoni della rinascita artistica di un'intera regione. Promessa di possibilità future: non solo estetiche, ma sociali, politiche, storiche.