A Vicenza, davanti all'assemblea dell'associazione industriali, il governatore della Puglia ha suscitato interesse e attenzione. Ciò induce a interrogarsi sulla possibilità che possa essere il leader che la sinistra attende

Ho visto Nichi Vendola a Vicenza, all'Assemblea dell'Associazione Industriali. Davanti a oltre mille imprenditori, ha suscitato interesse e attenzione. Perfino attrazione. Ne ho scritto, su Repubblica.it., in una "Bussola". Ciò ha indotto molti osservatori a interrogarsi (e a interrogarmi) sulla possibilità che Vendola possa essere il leader che la sinistra attende, da tanto tempo. In questo singolare Paese dove la sinistra sembra scomparsa, anche perché quasi nessuno ammette di essere di sinistra.

In fondo, se in Puglia ha vinto e rivinto, se nel Nord-est ha convinto (vincere è un'altra cosa), perché non potrebbe, proprio lui, meglio di altri, vincere o, almeno, convincere anche altrove? Perché non potrebbe, proprio lui, guidare la sinistra oltre il Mar Rosso, fino alla Terra promessa? Io, sinceramente, ne dubito (ma sono scettico per istinto e professione). Ma il suo "caso" è, comunque, utile a capire perché, nella sinistra e soprattutto nel Partito democratico, altri Vendola, in altri contesti, non riescano ad affermarsi. Oppure restino ai margini.

Lontano dalla scena politica nazionale.  In effetti, Vendola, nel Nord-est, è piaciuto proprio perché è "diverso". E non fa mistero della sua diversità. È comunista e meridionale. In più, non ha mai nascosto
la sua omosessualità. Vissuta, però, in modo normale. Non esibita come una bandiera. Questo, sicuramente, lo ha aiutato, a Vicenza. Dove i "comunisti", oggi preoccupano più di un tempo. Proprio perché si nascondono e si mimetizzano.

Ciò, naturalmente, non basta a spiegare il clima simpatetico che si è creato fra lui e il pubblico di Vicenza. Più leghista che Pdl. Semmai, forza-leghista. Conta, sicuramente, il fatto che Vendola è percepito come un "eretico" della politica. Proprio per i suoi vizi. La lotta contro i leader del Pd lo ha legittimato ulteriormente. I piccoli imprenditori l'hanno sentito quasi come uno di loro. Lontani e ostili rispetto ai centri del potere politico ed economico. Roma e Torino. Poi, ovviamente, contano la capacità di comunicare. Il linguaggio e la fisicità. Usa metafore e citazioni attraenti. I classici della filosofia e della letteratura. Gli evangelisti. Ma parla di problemi concreti da specialista. Militante e predicatore. Un po' prete e al tempo stesso amministratore ("il migliore del Sud", ha scandito Emma Marcegaglia). Insomma, un politico della prima Repubblica. D'altronde, ha un'esperienza lunga. Ma si è imposto al di fuori dei partiti e dei leader politici dominanti, nel centrosinistra. Ha approfittato dello spazio aperto dalle primarie, al tempo di Prodi, che immaginava l'Ulivo come un'area larga e comprensiva. Poi, nei mesi scorsi, ha faticato a ri-candidarsi, in Puglia. Ha dovuto battersi non solo contro il candidato del Pdl e dell'Udc (Poli Bortone, di fatto un'alleata). Ma, prima ancora, contro il Pd di D'Alema e di Letta. Per cui è emerso da un processo di dura selezione darwiniana. Una lotta per la vita, dove vince chi riesce a mobilitare risorse ed entusiasmo. Identità e persone. Come nei primi anni '90, quando i partiti tradizionali si erano sgretolati e si aprirono spazi impensabili, in precedenza. Così il ceto politico si rinnovò in fretta.

Per iniziativa della Lega, nel Nord. Nel centrodestra, sulla spinta di Berlusconi. Che creò un partito personale, a propria immagine e somiglianza. Mentre a sinistra il cambiamento si è realizzato soprattutto a livello locale, dove si sono affermati i sindaci. Cacciari, Illy, Rutelli, lo stesso Bassolino. Poi Chiamparino e Veltroni. Protagonisti di una stagione breve. Perché ogni esperimento innovativo è stato, per così dire, "normalizzato", quando si è cercato di trasferirlo a livello nazionale. L'Ulivo di Prodi, il Pd di Veltroni: "calmierati" dai gruppi dirigenti centrali (ma anche locali). Sopravvissuti alla prima Repubblica. Hanno fatto del Pd un partito di ex. Un ex-partito. Senza memoria, senza identità. E, al tempo stesso, chiuso, bloccato. Da ciò la difficoltà di produrre una leadership innovativa (non, banalmente, "nuova"). Capace di spezzare le routine, di parlare alla società, generare fiducia e, magari, emozione.

Nel Pd i leader emersi (e che emergono) a livello locale vengono fermati lì. Il "vantaggio competitivo" di Vendola - verrebbe da dire - è di essere cresciuto "fuori dal Pd". Come dire che, nella sinistra, le novità, i Vendola, probabilmente - anzi: certamente - esistono. Ma in queste condizioni, per loro, è quasi impossibile emergere, affermarsi. L' ho scritto altre volte: a Obama, nel Pd, al massimo avrebbero affidato un incarico di consulente all'integrazione in un'amministrazione comunale di sinistra.