Vogliamo la badante, ma non gli immigrati. Amiamo il posto fisso, purché ci lasci liberi. Divorziamo, ma sognando la famiglia. E' il Paese descritto da un approfondito rapporto sociologico. Tutto da scoprire

Siamo l'Italia del doppio binario. Legati al passato ma con la voglia di nuovo, ansiosi di futuro ma pieni di timori. Siamo il Paese dei paradossi. Divorziati, aneliamo alla famiglia, cattolici, ma non andiamo in chiesa. Vogliamo essere liberi dai legami ma invochiamo garanzie e sicurezza. Ci piace essere autonomi ma con il posto fisso. Cerchiamo le badanti ma non vogliamo gli immigrati. Di giorno puntiamo al benessere in palestra, la sera consumiamo la droga in discoteca. Sempre un po' ambigui. Ma sempre molto Italiani.

È la società descritta nelle 500 pagine di "Mosaico Italia - lo stato del Paese agli inizi del XXI secolo": analisi lucida e accurata fatta dall'Associazione di Sociologia, edita da FrancoAngeli. Un ritratto scientifico, ricavato dai contributi di ricerca di 80 sociologi, per capire come siamo cambiati e come saremo. "Il nostro è il Paese delle contraddizioni", spiega Antonio De Lillo, docente alla Bicocca di Milano e presidente dell'Associazione di Sociologia. "L'Italia è in contraddizione con se stessa perché non è uscita del tutto dalla società contadina, dagli anni Cinquanta. Si porta ancora dietro sistemi di valori e criteri di giudizio di quegli anni, è entrata nella post-modernità senza modificare del tutto il proprio sistema. Vive tra il vecchio e il nuovo senza essere capace d'introiettare le trasformazioni che ci sono state. Un esempio? La politica. Tutti dicono che ci vuole il bipolarismo poi si dividono tra coalizioni e sottocoalizioni, gruppi e gruppetti. Siamo nell'Italia della prima Repubblica".

Quali cambiamenti non abbiamo elaborato?
"Dal punto di vista dei valori siamo passati da un sistema solidaristico all'individualismo. Siamo più concentrati sul sé e meno sul noi. Quello che conta sono io, qui e ora. Ma così si è perso il senso di un progetto, la prospettiva. E ne soffriamo. Siamo chiusi nel privato ma in difensiva e guardiamo al futuro con smarrimento e inadeguatezza. Addirittura il comportamento di chi si droga è cambiato: vent'anni fa faceva parte di un gruppo, al cui interno c'era solidarietà. Adesso drogarsi riguarda sempre il proprio sé".

Eppure c'è stato un tempo non lontano in cui il futuro sembrava dietro l'angolo.
"Un tempo avevamo un progetto Paese, condividevamo obiettivi, avevamo un comune progetto di vita: negli anni Cinquanta c'è stata la ricostruzione, nei Sessanta lo sviluppo, nei Settanta l'innovazione e il desiderio di cambiamento".

È lì che l'idea di futuro si è persa?
"Gli anni Ottanta sono stati il periodo dell'apparenza, della dissipazione, l'epoca in cui è aumentato enormemente il debito pubblico: si voleva modernizzare senza pensare ai costi. Gli anni Novanta sono stati quelli della recessione, è entrato in crisi un modello di sviluppo".

E oggi l'Italia è implosa. Si è divisa. Siamo cambiati antropologicamente?
"No, ma c'è dualismo. Come se le Italie fossero due".

È in crisi l'idea stessa di stato unitario?
"Le divisioni in Italia ci sono sempre state, oggi sono più gridate e più strumentalizzate. Un tempo avevamo le battaglie tra i Comuni, la guerra tra staterelli dell'Italia pre-unitaria. Agli esordi della televisione le trasmissioni ironizzavano sulle differenze tra settentrionali e meridionali".

Oggi però c'è meno ironia. Condividiamo ancora un'idea di nazione?
"Il senso dell'italianità c'è sempre. Quando siamo all'estero ci ricordiamo di essere italiani. L'italianità si riflette anche nello sport, pratica importante a livello simbolico e mediatico: nelle vittorie ci ritroviamo uniti. E, ci piaccia o no, anche di fronte ai soldati uccisi. C'è sempre stata la consapevolezza di essere un'unica nazione".

Esiste anche un carattere nazionale?
"Non sintetizzabile in una parola. Esistono caratteristiche che ci portiamo dietro da secoli. E questo modo di essere uniti ma in modo conflittuale ne fa parte".

Quali valori continuiamo a condividere?
"Il cattolicesimo, cui gli italiani continuano a richiamarsi".

Ma spesso solo a parole: pochi praticano, avanzano nuove religioni, la secolarizzazione è diffusa.
"In modo sfumato, ma continua a far parte dell'identità italiana. Così come la famiglia: l'ambito attraversato da più cambiamenti (oggi esiste una pluralità di famiglie, aumentano le separazioni, la coppia è più fragile), ma che gli italiani non vogliono perdere. Non è nostalgia: sono valori cui gli italiani tengono. Principi guida, anche se si sente il bisogno di riempirli di nuovi diritti e contenuti. Però mancano risposte politiche a questi bisogni: da qui contraddizioni, paradossi, ambiguità".

C'è una questione giovanile?
"Per la prima volta i giovani avranno meno di quello che hanno avuto i loro genitori. Uno stravolgimento di sicurezze, di valori. Anche per questo tra loro crescono i comportamenti a rischio, nell'alcolismo, nella guida, sintomi di un malessere che non trova sbocco. Una volta i giovani erano portatori di cambiamento, adesso sono le prime vittime di questa mancanza collettiva di progettualità: in questo c'è stato un cambiamento radicale".

Gli immigrati che ruolo hanno in questa Italia in frantumi?

"Sono un altro paradosso del carattere nazionale: ci sono indispensabili nei fatti ma li rifiutiamo a parole. Noi siamo multietnici ma non vorremmo, importatori renitenti. Gli immigrati sono strumentalizzati, li utilizziamo "in negativo", per ritrovare una coesione sociale che abbiamo persa. Noi contro loro. Anche in questo, siamo incapaci di guardare avanti".

Ma, in definitiva, che cosa è andato veramente in crisi in questi anni?
"Un sistema di valori, quelli che sono stati alla base dell'Italia unita. I valori della borghesia colta cui appartenevano tutti i dirigenti dei partiti, di destra e di sinistra, e che hanno costituito le basi dell'unità d'Italia. Pur nelle divisioni politiche, c'era una grande omogeneità culturale: leader di fronti contrapposti condividevano gli stessi valori, gli stessi stili di vita. La borghesia ha cercato di espandere questo modello, pensando che potesse essere vantaggioso anche per le classi subalterne. Ma oggi assistiamo al rifiuto di questo modello di fare cultura e politica. I figli, i nipoti di quelle classi, non lo accettano più".

Lega e Pdl hanno intercettato il rifiuto.
"Sì, perché incarnano l'anima del Paese che si è ribellato al modello borghese di gestione della cosa pubblica, il desiderio di cambiamento. Ma non è riuscita a dare una risposta, una direzione a questa nuova Italia. Così siamo un ibrido e il processo di modernizzazione è bloccato. Eppure gli italiani hanno bisogno di prospettive, e voglia di futuro".

E dove troveranno le forze per costruirlo?
"In quelle caratteristiche che non hanno perso: nella creatività, che hanno anche nel campo tecnologico e nella ricerca. Nella loro capacità di adattamento. Io credo anche molto nel ruolo delle donne: loro oggi hanno una marcia in più, possono davvero cambiare la struttura del Paese".

Si può ancora dire, Italiani brava gente?
"A me pare che ci siamo tutti incattiviti".